American Crime Story: recensione del pilot della nuova serie di Ryan Murphy

American Crime Story: recensione del pilot della nuova serie di Ryan Murphy

Di Andrea Suatoni

AMERICAN CRIME STORY: GUARDA IL FULL TRAILER

L’idea di trattare una serie che necessariamente avrà termine dopo una sola stagione è nata nella mente di Ryan Murphy nel momento in cui ha valutato la possibilità di importare l’horror dal grande al piccolo schermo: le dinamiche dell’horror infatti sono praticamente impossibili da portare avanti di stagione in stagione mantenendo una stretta coerenza narrativa di fondo (se a tratti X-Files e Penny Dreadful ci sono riusciti, il merito va soprattutto alla direzione quasi poliziesca degli show, che quindi “sporcava” comunque il genere). E quale investimento sarebbe stato quello di definire fin dall’inizio la cessazione di un serial che magari (come poi è stato) sarebbe riuscito a richiamare un vasto pubblico?

La soluzione della serie antologica, che ad ogni stagione mantiene le stesse atmosfere di fondo ma cambia completamente trama, si è rivelata perfetta: complice un cast di prim’ordine (prima fra tutti Jessica Lange, vera e propria colonna portante delle prime 4 stagioni di American Horror Story), che di anno in anno viene rimescolato ed integrato per essere adattato alle nuove scelte stilistiche, Murphy ha colto nel segno e si è ora preparato a fare un passo ancora più grande.

American Crime Story si ripromette di trattare quegli episodi criminali che più hanno scosso i cuori e le opinioni americane negli anni, rinunciando quindi alle dinamiche soprannaturali per agganciarsi alla fredda e cruda realtà. E qui, ci sorge il primo dubbio: l’idea è ambiziosa, ma portare sullo schermo qualcosa che il pubblico conosce, in pratica spoilerando gran parte dei giri di volta della trama e dei colpi di scena, a cosa può portare?

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UNA VISIONE INTERNA

Gli autori della serie, Scott Alexander e Larry Karaszewski, fin dalla prima puntata riescono a ovviare al problema concentrandosi sulla drammaticità psicologica dei fatti: dovrà necessariamente essere questa la forza della serie, perché come già detto lo spettatore sa già quale sarà il finale. E all’introspezione psicologica stavolta non potrà concedersi neanche un passo falso.
Ecco quindi che i personaggi che vediamo gravitare attorno alla vicenda non vengono neanche immediatamente definiti ed inseriti in essa; da subito scopriamo le loro motivazioni, i loro rapporti interpersonali, i loro credo e i loro punti di vista, ma il loro ruolo all’interno della trama è definito meccanicamente o non lo è affatto, specialmente per quanto riguarda le figure di contorno che quindi risultano slegate dall’economia del racconto ma proprio perché presentate da un punto di vista interno ed incisivo risultano già interessanti: ai personaggi di Connie Britton (American Horror Story: Murder house), Selma Blair (Cruel Intentions, Hellboy) e Courtney B. Vance (Flashforward, Criminal intent) bastano poche battute per rimanere impressi, seppure siano rimasti talmente poco sulla scena che risulta difficile ricordarne i nomi.

American Crime Story: The People v. O.J. Simpson Ð Pictured: Sarah Paulson as Marcia Clark. CR: FX, Fox 21 TVS, FXP Premieres on FX, early 2016

IL PROCESSO AD O.J. SIMPSON

Il caso del duplice omicidio in cui la ex star del football era implicato (dove la sua ex moglie ed un amico di lei venivano barbaramente assassinati) è forse poco noto per noi italiani, ma è rimasto invece fortemente radicato nelle coscienze americane dell’epoca (si parla del 1994). Le numerose prove contro Simpson, che pure vantava più di una denuncia per maltrattamento coniugale, vennero smontate dalla difesa principalmente sulla base di (pretestuosi?) fattori di discriminazione razziale: pochi anni prima un altro caso, quello del violentissimo massacro del taxista di colore Rodney King da parte di alcuni poliziotti (interamente ripreso da un videoamatore) aveva portato ad una vera e propria rivolta di cui ancora si sentivano gli effetti (e che American Crime Story riprende come prologo nel momento in cui inizia a narrare gli avvenimenti).
Sul piano penale, il processo si risolse a favore dell’imputato, che fu invece condannato in sede civile (e quindi costretto a pagare ingenti somme di risarcimento ai familiari delle vittime).
Moltissimi anni dopo, nel recente 2012, un serial killer americano in prigione da tempo confessò gli omicidi per cui l’ex giocatore era stato imputato, ponendo una sorta di finale poetico – macabro alla vicenda.
Attualmente, dal 2008 O.J.Simpson è (quasi ironicamente) in prigione, per scontare 33 anni a causa di una rapina a mano armata.

American Crime Story: The People v. O.J. Simpson Ð Pictured: John Travolta as Robert Shapiro. CR: FX, Fox 21 TVS, FXP Premieres on FX, early 2016

I PERSONAGGI CHE FANNO LA STORIA

O.J. Simpson è risultato innocente. È questo che in definitiva lo spettatore medio che inizia la serie dovrebbe sapere; ed è su questo che gli sceneggiatori hanno giocato. Nel Pilot l’imputato (che ancora imputato non è) appare incontrovertibilmente colpevole: i suoi tempi si adattano perfettamente ai tempi dell’omicidio, gli indizi e le prove sono numerosi e concludenti, il passato violento dell’uomo verso la ex moglie è messo a nudo, addirittura riporta una ferita proprio dove la scientifica sapeva sarebbe dovuta essere e infine fallisce il test della macchina della verità. Dovremmo provare simpatia quindi per il procuratore distrettuale Marcia Clark, determinatissima a condannare l’uomo e certa della di lui colpevolezza… Peccato che la donna abbia torto. La straordinaria Sarah Paulson, carissima ai cultori di American Horror Story, torna con un personaggio sorprendentemente forte, a differenza di tutte le donne remissive (almeno all’inizio) e misteriose che l’abbiamo vista interpretare quasi sempre in un cammino di crescita personale per uscire dal bozzolo. Marcia invece è una donna che sa quello che vuole, che non ha bisogno di scavare in sè stessa per trovare la forza di raggiungere i propri obiettivi. E’ convinta delle sue idee e, diversamente da quasi tutti i suoi colleghi, non è impressionata dalla notorietà del soggetto coinvolto nel caso.
Proprio quella notorietà è un altro dei punti cardine della serie, perchè Simpson diviene fin da subito vittima della propria fama: i telegiornali, i fotografi, gli stessi fan che non riescono a credere alla sua colpevolezza non lo lasciano in pace. E’ breve il passo che porta l’uomo all’esasperazione: prima l’idea del suicidio e poi la fuga sembrano essere le uniche vie percorribili. Interpretandolo, Cuba Gooding Jr. è “costretto” a dare un’ottima prova di sé: il personaggio, solo nel primo episodio, attraversa una moltitudine di stati emotivi differenti tale da poter minare la credibilità di quasi qualsiasi artista. Quasi.

La difesa di Simpson viene chiesta dallo stesso a Robert Shapiro, noto avvocato dalla stereotipata ambiguità morale; nelle poche scene in cui appare, John Travolta cattura più per la scrittura del personaggio che per la propria abilità di attore. Che non risulta di bassa lega, ma deve scontrarsi con le prove perfette di tutto il resto del cast. Shapiro è con tutta probabilità sicuro della colpevolezza del suo cliente, senza che questo rappresenti in ogni caso un problema.

Anche Robert Kardashian, intimo amico di O.J. (per il quale ha un’ammirazione che sembra a tratti sconfinare nella morbosità) sembra pian piano iniziare a dubitare della sua innocenza. E’ interpretato da un David Schwimmer che non potrebbe essere più lontano dal ruolo del Ross che l’ha reso famoso in Friends e che proprio per questo ci sembra fuori posto all’inizio, ma solo per un attimo.
A livello di trama grezza, e come già accennato ce lo aspettavamo, poco o nulla succede: O.J. viene imputato dell’omicidio, i personaggi principali vengono presentati (e in modo squisitamente criptico, anche quelli secondari), e nel momento in cui Simpson avrebbe dovuto costituirsi, non si presenta. La polizia si reca a prenderlo in custodia dalla dimora dell’amico Kardashian, ma l’uomo è scomparso.
La conoscenza del caso ci viene in aiuto per immaginare almeno l’inizio del secondo episodio: Simpson infatti fuggì dalla polizia in un rocambolesco inseguimento che fu trasmesso in diretta televisiva sugli schermi di 100 milioni di americani.

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STILE MURPHY

La direzione di Murphy è visibile fin da subito. Le caratteristiche rotazioni delle telecamere, la fotografia a tratti caustica (contrapposta ad una più fredda, inedita, nei contesti lavorativi della Clark, e che pare differenziarsi a seconda che della scena siano protagonisti dei bianchi o delle persone di colore) ci fanno quasi dimenticare che non ci troviamo sul set della sua serie primaria. E infatti un retrogusto tipicamente horror si riesce quasi a percepire all’inizio e anche oltre, quasi come se il passaggio da una serie all’altra volesse risultare attenuato.

Ma il Murphy-Style se da una parte è sinonimo di tecnica visiva quasi ineccepibile anche se volte un pò troppo forzata (specialmete in American Horror Story: Coven, dove il mal di testa dovuto alle spiazzanti e mai fisse inquadrature era sempre in agguato), dall’altra va temuto riguardo alla carente sapienza tecnica narrativa. Una scrittura che partiva sempre da premesse forti, interessanti e ben definite, ma che poi si perdeva ingenuamente in ramificazioni complesse, oscure e a tratti completamente fuori contesto, generando a volte buchi di trama abbastanza grossolani.
Murphy nella nuova serie però non risulta fra gli sceneggiatori: ci dispiace un pò dirlo, ma la differenza si sente. Molto. American Crime Story cattura da subito, anche se, come già detto, conosciamo già i fatti nudi e crudi; l’alto livello della scrittura, la cura dei particolari, delle introspezioni, dei dialoghi esplodono fin dalle prime battute.
Forse merito del cambio autoriale quindi, ma è difficile credere che, anche se in sordina, Murphy non abbia messo del suo nella trama: l’impressione è quella che, fuori dagli schemi paurosamente illimitati del misticismo, dell’occulto e del soprannaturale, parlando cioè di fatti concreti e reali da dietro la telecamera, lo stesso riesca a dare il meglio di sé.

E di meglio, almeno per ora, non potevamo chiedere: attori straordinari che interpretano personaggi dirompenti, scrittura d’alto livello, regia accattivante e ricercata… Rovinare queste premesse dovrebbe essere molto difficile. Incrociamo le dita e aspettiamo il prossimo episodio.

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Il cast di American Crime Story: The People v. O.J. Simpson comprende Cuba Gooding Jr. (O.J. Simpson), John Travolta (Robert Shapiro, avvocato di Simpson), Sarah Paulson (il procuratoreMarcia Clark), Courtney B. Vance (Johnnie Cochran, leader della difesa di Simpson), David Schwimmer (Robert Kardashian, avvocato nonché confidente di Simpson) e Billy Magnussen (il testimone Kato Kaelin).

La serie non ha ancora una data di trasmissione italiana. Vi terremo aggiornati.

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