Umberto Eco, una delle figure più eminenti della cultura italiana contemporanea, si è spento ieri sera nella sua casa di Milano. Aveva 84 anni.
Nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932, Umberto Eco si laureò in Filosofia all’Università di Torino nel 1954 con una tesi sull’estetica di San Tommaso d’Aquino, da cui originò il suo interesse costante per la cultura medievale. Nello stesso anno vinse il concorso per entrare in RAI, contribuendo a svecchiarne i programmi e a rinnovarne lo spirito, attribuendole un ruolo centrale nel sistema culturale italiano; anche grazie a questa esperienza, nel 1961 pubblicò il suo celebre articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno. Contemporaneamente iniziò anche la sua carriera universitaria, fino a ottenere la cattedra di Semiotica a Bologna nel 1975, ma il suo percorso di insegnamento lo condusse anche in prestigiosi atenei stranieri come UC-San Diego, New York University, Columbia University, Yale, Collège de France ed École Normale Supérieure.
Il suo interesse per la cultura di massa lo stimolò a scrivere una delle sue opere più famose, il saggio Apocalittici e integrati (1964), dove analizzò questo specifico argomento con taglio sociologico. Di fatto, Umberto Eco fu uno dei primi intellettuali italiani a nobilitare la cultura di massa, riconoscendone il valore creativo, artistico e sociale. Non a caso, scrisse una memorabile prefazione alla prima raccolta italiana dei Peanuts di Charles Schulz, di cui vi riporto l’incipit:
Non beve, non fuma, non bestemmia. È nato nel 1922 nel Minnesota. Vive modestamente ed è “lay preacher” in una setta detta la Chiesa di Dio; è sposato e ha, credo, quattro bambini. Gioca a golf e a bridge e ascolta musica classica. Lavora da solo. Non ha nevrosi di alcun genere. Quest’uomo dalla vita cosi sciaguratamente normale si chiama Charles M. Schulz. È un Poeta.
Quando dico “Poeta” lo dico per fare arrabbiare qualcuno. Gli umanisti di professione, che non leggono i fumetti; e coloro che accusano di snobismo gli intellettuali che fingerebbero di amare i fumetti. Ma sia bene inteso: se “poesia” vuole dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Schulz è un poeta. Se poesia è individuare caratteri tipici in circostanze tipiche, Schulz è un poeta. Se poesia è far scaturire da eventi di ogni giorno, che siamo abituati a identificare con la superficie delle cose, una rivelazione che delle cose ci faccia toccare il fondo, allora, una volta ogni tanto, Schulz è poeta. E se poesia fosse soltanto trovare un ritmo privilegiato e su di quello improvvisare in una avventura ininterrotta di variazioni infinitesime, così che dall’incontro altrimenti meccanico di due o tre elementi possa scaturire un universo sempre nuovo, cantato senza pause, ebbene anche in questo caso Schulz è poeta. Più di tanti altri.
Ma è noto anche il suo amore per Dylan Dog, campione del fumetto popolare “d’autore” nonché opera “sgangherata e sgangherabile”, che lo stesso Eco – proprio per queste caratteristiche – paragonava addirittura alla Divina Commedia.
La sua passione per la cultura medievale si intrecciava all’attrazione per tematiche misteriose e oscure, da cui scaturì il suo esordio letterario, Il nome della rosa (1980), best seller internazionale da 30 milioni di copie che ispirò anche l’omonimo film di Jean-Jacques Annaud con Sean Connery, F. Murray Abraham, Christian Slater e Ron Perlman. Nel 1988 pubblicò il suo secondo romanzo, Il pendolo di Foucault, cui seguirono L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), Il cimitero di Praga (2010) e Numero Zero (2015), tutti editi in italiano da Bompiani.
Con la sua scomparsa, il mondo perde un grande pensatore, raffinato e innovativo, capace di volgere il suo sguardo sulle manifestazioni più variegate della cultura e dell’arte.
Fonti: Repubblica; Wikipedia