The Hateful Eight visto in 70mm – La recensione in anteprima

The Hateful Eight visto in 70mm – La recensione in anteprima

Di Leotruman

Quentin Tarantino ha girato il suo ottavo film in Ultra Panavision 70, una tecnica rispolverata direttamente dagli anni ’60 che vede riprendere il film con una camera su pellicola 65mm, stampata poi in un formato 70mm contenente un audio a sei tracce e proiettata con metodo Cinerama su megaschermi, possibilmente di oltre 15-20 metri di larghezza. Il regista premio Oscar ha deciso poi di realizzare prima dell’uscita classica nelle sale una sorta di anteprima, un “roadshow” come su usava fare nell’epoca d’oro di Ben Hur e La più grande storia mai raccontata. Proiezione speciale lunga tre ore e otto minuti, contenente un preludio (overture) di Ennio Morricone di quasi 4 minuti e un intervallo di 12 minuti.

Andare a vedere The Hateful Eight in questo modo, e in Italia si può fare in tre sale (Cinecittà Teatro 5- Roma; Cinema Arcadia – Melzo, MI; Cineteca di Bologna), diventa un’esperienza indimenticabile, che trasuda amore vero nei confronti dell’arte cinematografica e della sala stessa.

Gli Odiosi Otto. Anzi nove, o forse più. Tarantino ci mette circa mezz’ora per rinchiuderci nell’emporio di Minnie disperso nel Wyoming insieme a una banda di improbabili personaggi, che si ritrova forzatamente a dover dividere pochi metri quadri causa una forte bufera di neve.

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Abbiamo John Ruth (Kurt Russell), il cacciatore di taglie in viaggio verso Red Rock, ammanettato a Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), che una volta consegnata alla forca gli permetterà di riscuotere i diecimila dollari della taglia. Si uniscono a loro il maggiore Warren (Samuel L. Jackson), ex militare yankee (sì!) ora divenuto un altro temuto cacciatore di taglie, e poco dopo Chris Mannix (Walton Goggins), parente di un generale sudista e, a quanto pare il nuovo sceriffo di Red Rock, anche se nessuno gli crede. All’emporio li aspettano Oswaldo Mobray (Tim Roth), il nuovo boia di Red Rock di origine inglese, il silenzioso cowboy Joe Gage (Michael Madsen), il generale Smithers (Bruce Dern), ex-militare taciturno e razzista, e il messicano Bob (Demian Bichir), nuovo aiutante di Minnie che la sta sostituendo nella gestione. Ah, c’è anche O.B., il conducente della diligenza di John e tuttofare (è interpretato da James Park).

Per le altre due ore e mezza Tarantino letteralmente ci fa pendere dalle labbra di questi odiosi-amati personaggi, in una tragedia tesissima raccontata senza fretta, quasi in tempo reale. I dialoghi sono serrati e sempre incredibili, ma da Tarantino non ci sia aspetta mai nulla di meno (due Oscar come sceneggiatore ed è ritenuto uno dei più grandi dialoghisti dell’epoca contemporanea).

Iper-caratterizzati, carichi da ogni punto di vista, che sia stilistico, estetico e narrativo, devi credere necessariamente ad ogni parola che esce dalla loro bocca, e allo stesso tempo non devi dare ascolto a nulla e nessuno. Gli ingranaggi si muovono lentissimi, poi lenti, e ad un certo punto iniziano a girare all’impazzata in pieno stile Tarantino, gli eccessi, l’esplosione della violenza, il film prosegue a briglia sciolta, con un stile sempre più contaminato da una miriade di genere e autori.

Eppure cosa cambia dagli ultimi due acclamati film del regista di Pulp Fiction, vale a dire i grandi successi Bastardi senza Gloria e Django Unchained? Cambia il fatto che The Hateful Eight è un film meno immediato, meno mainstraem e meno “divertente” del fratello Django; ha una narrazione meno ovvia e lineare, e non è un caso che gli incassi e l’attenzione del grande pubblico siano scesi (la legge dei grandi numeri, non della qualità).

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Questo è il Tarantino che non scende ad alcun tipo di compromesso, che elimina l’eroe per cui fare il tifo con facilità (sono tutti Hateful) e di conseguenza qualsiasi tipo di empatia o identificazione. I personaggi così estremi e opposti gli uni agli altri combattono prima con le parole e soprattutto con le menzogne, l’arma più temibile, e poi con altro. È l’odio, per lo straniero e il diverso (popolo, razza, cultura, politica), a portare al classico bagno di sangue tarantiniano, un odio alimentato dai pregiudizi e coltivato da bugie che teoricamente dovevano servire per tamponare una situazione incerta. Giustizia, razzismo, violenza di frontiera: è un film più politico di Django e forse di qualsiasi altro titolo della filmografia del regista.

Attenzione inoltre a non scambiarlo per “teatro filmato“: non si tratta di una pièce, ma di grande cinema, e non deve confondere il fatto che per la quasi totalità del film ci si ritrovi in un unico ambiente. Ad aiutare in questo senso arriva la colonna sonora inedita composta dal maestro Ennio Morricone, così varia e perfetta nell’accompagnare più che le sequenze stesse i cambi di livello, ad accompagnarci per mano nei vari passaggi. È spiazzante e geniale, e meritevole dell’Oscar come Miglior Colonna sonora dell’anno: speriamo proprio il nostro più grande compositore contemporaneo possa aggiungere questo prezioso riconoscimento dopo la statuetta alla carriera, assegnatagli forse troppo prematuramente nel 2007 (d’altronde ha “solo” 87 anni ed è in piena attività).

Quasi superfluo aggiungere un commento sulle interpretazioni, tutte di altissimo livello ed è impossibile scegliere chi sia stato più bravo. Il grande Cinema è tornato, e se vivete a Roma, Milano o Bologna non perdete l’occasione di viverlo con questo tipo di proiezione, così calda, impura, nostalgica e così appagante.

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Nel cast di The Hateful Eight troviamo Michael Madsen, Samuel L. Jackson, Bruce Dern, Walton Goggins, James Remar, Tim Roth, Kurt Russell, Amber Tamblyn e Demian Bichir Jennifer Jason Leigh, candidata all’Oscar per il ruolo.

Il film è ora nelle tre sale citate sopra (Arcadia Melzo, Cinecittà Studio 5, Cineteca Bologna) nella versione in 70mm, mentre il film arriverà in tutta Italia a partire dal 4 febbraio.

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