È la star cinematografica più popolare, acclamata, amata (e pagata) al mondo. In una carriera lunga trent’anni ci ha emozionato con decine di ruoli entrati nella memoria collettiva, ha lavorato con i più grandi registi, e continua a regalare emozioni, trasformando in grandi successi di pubblico e critica le pellicole con lui protagonista.
Parliamo di Leonardo DiCaprio, sbarcato nelle ultime ore a Roma insieme a Alejandro González Iñárritu, regista del bellissimo Birdman (vincitore di ben quattro Oscar, Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Fotografia), per presentare il loro Revenant – Redivivo, da oggi nelle sale italiane in 500 copie.
Il film racconta la storia Hugh Glass, un pioniere che nel 1820 durante una spedizione di caccia venne gravemente ferito da un orso. Per sopravvivere pagò due uomini affinché rimanessero con lui, ma i due, sicuri della sua morte, decisero di derubarlo e di abbandonarlo. Solo e senza alcuna arma per difendersi, Glass riuscì a guarire, percorrendo ben 300 chilometri in cerca di vendetta.
Abbiamo incontrato un serio e professionale DiCaprio insieme ad un più rilassato Iñárritu in una conferenza stampa, dove hanno risposto alle domande dei giornalisti parlando di questa impressionante produzione, costata 120 milioni di dollari, e girata interamente in ambienti esterni ed estremi, con la sola luce naturale catturata dal due volte premio Oscar Emmanuel Lubezki (Gravity, Birdman).
Visivamente si sente la mano di Lubezki. Ritroviamo tanto di quello che lui ha fatto anche con altri registi, e molto altro. Qual è stata la sua influenza nel scegliere look visivo del film?
IÑÁRRITU: Il processo di fare un film è molto complesso e interattivo, per arrivare a questa vera e propria espressione di arte. Ci sono così tanti elementi in gioco, l’immenso lavoro di tanti reparti diversi. Io e Chivo (ndr: Lubezki) ci siamo conosciuti ventenni, e siamo diventati subito amici. Abbiamo lavorato insieme per qualche cortometraggio, e poi ci siamo ritrovati in Birdman. Sono stato un suo grande fan sin dall’inizio.
Abbiamo iniziato parlare degli obiettivi, perché la nostra collaborazione parte da quello che voglio trasmettere. Ci sediamo solo in seguito a tavolino per parlare degli aspetti tecnici, per capire come arrivare al risultato emotivo e tecnico. Un processo che richiede molto tempo, perché cerca di far convergere tecnica ed emotività.
Abbiamo fatto molti test, sperimentato diverse camere, obiettivi, cercato di capire come realizzare il film. Alcuni usano gli storyboard, altri la pre-viz. Noi preferiamo trovare un luogo, per giocare e sperimentare i movimenti. Cerco di progettare tutti gli aspetti che mi serviranno per ricreare la tensione drammatica. Sono prove che faccio mesi e mesi prima. Il contributo di Emmanuel è fondamentale, lui decide la macchina da presa, le esposizioni… La sua conoscenza dell’uso delle luci, il suo ritmo… è qualcosa di eccezionale. Tutto quello che si vede nel film è frutto di qualcosa che è stato progettato sei mesi prima.
Non ricordo un altro film dove la macchina da presa si sente così tanto… Alito, acqua, sangue, raggi di sole… È uno step in più per far sentire lo spettatore dentro al film?
DiCAPRIO: Credo che in realtà quello che vediamo nel film, ed è stato inserito anche nel montaggio finale, come il mio respiro, il sangue, è qualcosa che ti consente di entrare in profondo contatto, e di percepire a livello viscerale quello che stanno vivendo i personaggi. La capacità di Alejandro e di Chivo è stata questa: farti entrare in questo mondo reale. È come se fosse neorealismo, o un docudrama. Ti immergi senza soluzione di continuità, senza distacco, ed in questo modo emergono i sentimenti più profondi e intimi di questi personaggi cosi belli. Ho percepito tutto ciò fin dalla prima volta che ho incontrato Alejandro. Credo di non aver mai partecipato ad un film con questa padronanza dei mezzi tecnici e artistici. È stato qualcosa di unico.
IÑÁRRITU: Quando ho iniziato questo progetto, il primo obiettivo era quello di creare la sensazione e l’impressione del documentario. Gli animali volevo che apparissero in tempo reale, come se fossero reali. Se l’avessi girato cinque anni fa, non sarei riuscito a crearlo come l’ho fatto ora. L’avrei fatto in modo diverso perché avrei utilizzato una tecnologia inferiore.
Era importante far sì che la gente si sentisse lì, come se fosse una soggettiva. Il pubblico deve comprendere anche l’aspetto fisico, e l’obiettivo principale era proprio questo: unire film e documentario. Non a caso ho letto un titolo di un quotidiano che trasformava il titolo del film in “NATIONAL LEOGRAPHIC”.
Questo film è stata una sfida. Cosa ti ha lasciato il personaggio?
DiCAPRIO: Noi ci siamo avvicinati cercando di essere aperti mentalmente. La storia di Hugh Glass veniva raccontata intorno al fuoco. È la classica storia che racconta la sopravvivenza, l’umanità, e la capacità dell’uomo di dominare la natura.
Durante le riprese ho constatato con mano anche l’avidità dell’umanità, che va a saccheggiare la natura, le risorse, anche a scapito delle risorse e delle popolazioni che ci abitano. Ho realizzato un film sul cambiamento climatico, abbiamo potuto toccare con mano il cambiamento, e a volte basta solo un grado per cambiare l’intero ecosistema. Il 2015 è stato l’anno più caldo in assoluto, ed è l’anno che finalmente con la Cop21 (ndr. l’accordo sul clima firmato a Parigi) ha visto gli esseri umani cercare di combattere tutto questo con qualcosa di produttivo e concreto.
Hai fatto una carriera strepitosa: un Oscar potrebbe aggiungere qualcosa? Cosa rappresenta realmente per te?
DiCAPRIO: Siamo molto lieti dell’entusiasmo dimostrato dall’Academy, riconosciuto in vari settori che hanno creato il film. Questo lo definisco un viaggio, che abbiamo fatto insieme. Non un film, ma un importante capitolo della nostra vita, in cui ci siamo impegnati tantissimo. Abbiamo impiegato un anno della nostra vita, dato tutto noi stessi, e l’accoglienza dataci è lusinghiera.
Il film non l’abbiamo fatto per l’Oscar, non per questo motivo, e non ci pensi mentre lavori ad un film. Cerchiamo di sollecitare il pubblico a vederlo, e se l’Oscar può aiutare in questo senso, anche nel processo di sensibilizzazione degli studios a finanziare film di questo tipo, ben venga davvero. Alejandro ha fatto un lavoro eccezionale, è qualcosa di mai realizzato prima. Un’epopea artistica su larga scala, e il pubblico ha voglia di vedere storie di questo genere.
Quale parte dell’immaginario cinematografico del western, e quali influenze sono confluite nel film?
IÑÁRRITU: Quando ho realizzato questo film non avevo in mente dei western, piuttosto avevo in mente film come Apocalypse now, Kurosawa… sono questi film sono quelli che mi hanno ispirato. Revenant non è un western, ma un percorso spiritale e fisico, in un’epoca dove il west non esisteva ancora.
DiCAPRIO: la cosa interessante è che non è ambientato in un’epoca molto lontana. Ai tempi non si poteva realmente documentare qualcosa, se non con il diario di qualcuno di questi uomini che erano lì, che facevano questo mestiere, o con le storie degli indigeni.
È stata come fantascienza, ricreare il personaggio. Leggendo i diari o le storie, questi uomini mostravano spesso nostalgia, per quei tempi, e questo metteva in luce aspetto spirituale, perché si servivano solo di quello che riuscivano a creare dalla natura stesso.
Una volta che sono arrivato sul luogo delle riprese, tutto fuso si è con quello che Alejandro voleva per noi: abbiamo creato lì la storia di quest’uomo che si spinge e persevera, cerca di sopravvivere. E anch’io mi sono da quel momento affidato al mio istinto.
Revenant – Redivivo è da oggi, 16 gennaio 2016, nelle nostre sale.
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Fonte: ScreenWeek