Su USA Network ha debuttato Colony, serie fantascientifica che riunisce il protagonista Josh Holloway e il co-ideatore Carlton Cuse dopo l’avventura di Lost. Lo show è ambientato in una Los Angeles distopica, sottoposta a un governo alieno che opera per vie misteriose…
Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER
Will Sullivan (Josh Holloway) vive a Los Angeles con sua moglie Katie (Sarah Wayne Callies) e due figli. Tentano di condurre una pacifica vita familiare, ma la realtà è che il mondo non è più quello di una volta: una misteriosa civiltà aliena è infatti sbarcata sulla Terra, riducendola a una colonia governata da umani collaborazionisti; la metropoli californiana è circondata da un’imponente barriera, alta e spessa centinaia di metri.
Will si reca al lavoro, ma in realtà progetta di superare la barriera con uno stratagemma per andare alla ricerca del figlio scomparso, il secondogenito dodicenne. Proprio quando pensa di avercela fatta, nel posto di blocco esplode una bomba piazzata dai ribelli, così Will viene scoperto dai Berretti Rossi – la forza militare del governo collaborazionista – e rinchiuso insieme ad altri prigionieri. Intanto Katie va alla ricerca di insulina per il suo nipotino, e la ruba in un ospedale affollato dalle vittime dell’attacco. È preoccupatissima per il mancato ritorno di suo marito, e per cercarlo corre un grosso rischio: viola il coprifuoco, facendosi quasi scoprire dai Berretti Rossi e dai droni che pattugliano la città di notte.
Nel frattempo, i soldati scoprono che Will Sullivan è in realtà Will Bowman, ex ranger dell’esercito e agente del’FBI, e lo portano al cospetto del governatore Snyder (Peter Jacobson), il quale lo accoglie giovialmente in casa sua. Snyder vuole fargli una proposta: se lavorerà per lui, dando la caccia ai membri della resistenza e al loro leader Geronimo, garantirà la salvezza e il benessere della sua famiglia. Tornato a casa, Will parla della proposta a Katie, che però disprezza i collaborazionisti. Il mattino seguente trovano Snyder e i Berretti Rossi in cucina: Snyder sta preparando la colazione con il bacon, una vera rarità, ed elenca tutti i privilegi di cui godranno se Will accetterà il lavoro. Alla fine Will accetta, ma solo se Snyder lo aiuterà a ritrovare suo figlio.
Katie sembra aver dimenticato le sue rimostranze, ma è solo una tattica: la donna, infatti, si reca in un covo della resistenza per incontrarne il leader (Paul Guilfoyle), comunicandogli che ora hanno qualcuno all’interno. Lei.
Totalitarismo alieno
Il pilot di Colony comincia in medias res, e gran parte della sua efficiacia è riconducibile a questo approccio: gli ideatori Carlton Cuse e Ryan Condal non spezzano la tensione con premesse o flashback, ma ci proiettano direttamente in uno status quo ricco d’inquietudine, dove l’umanità ha già perso la sua guerra contro gli alieni e gli U.S.A. sono stati ridotti alla stregua di paese occupato; sorte paradossale e pena del contrappasso, se consideriamo certi episodi della politica estera americana. Il contesto narrativo si delinea in progressione, partendo da un ritratto familiare apparentemente idilliaco che semina dettagli sinistri lungo tutto il prologo (la recinzione attorno alla casa, i Berretti Rossi a ogni angolo di strada), fino alla rivelazione della colossale barriera che circonda Los Angeles. Ne deriva una distopia illuminata dal sole della California, che contraddice i soliti cliché distopici (colori lividi e cupi, architetture rigide e razionali) per assumere una maggiore ambiguità espressiva: il “totalitarismo militare” dei collaborazionisti diviene quindi ancor più subdolo e minaccioso, soprattutto in rapporto all’invisibilità degli alieni.
La sceneggiatura ha il merito di riassemblare il mosaico per gradi, svelando progressivamente non soltanto lo scenario socio-politico, ma anche la sorte del figlio di Will (scomparso durante l’arrivo dei visitatori) e la vera identità del protagonista. È chiaro che la trama orizzontale seguirà un doppio percorso: da un lato assisteremo all’evoluzione del quadro generale, con il mistero degli alieni, dei loro obiettivi e della loro natura (nessuno li ha mai visti, quindi non sappiamo nemmeno come siano fatti); e dall’altro ci sarà la vicenda più intima della famiglia Bowman, che vive l’inconsapevole frattura tra Will e sua moglie Katie, rispettivamente un collaborazionista e una ribelle. Per il momento non si avverte una netta preferenza per l’una o l’altra fazione, poiché gli sceneggiatori sembrano lasciare spazio alle ragioni di entrambe, anche se i ribelli potrebbero acquisire maggior credito nel corso dello show. La scelta di Will resta però umanamente comprensibile, seppur destinata a innescare numerosi confitti morali tra l’idealismo della resistenza e la tutela concreta della propria famiglia.
Su queste basi, Colony potrebbe costruire un prodotto molto diverso da Falling Skies o altre serie dello stesso genere, poiché Carlton Cuse e Ryan Condal sembrano più interessati alle sfumature dello spionaggio e del mistery, lasciando da parte l’azione. Peccato che i due autori scivolino in qualche dialogo eccessivamente didascalico, e che i personaggi principali non sfuggano ai soliti “modelli” prestabiliti, cadendo vittime di una caratterizzazione pigra e prevedibile; per contrasto, le buone prove di Josh Holloway e Sarah Wayne Callies riescono a imprimere un minimo di personalità in Will e Katie, rendendosi abbastanza credibili sia come coppia sia individualmente.
Le premesse per un valido intrattenimento ci sono tutte, anche perché la confezione tecnica è piuttosto solida, soprattutto grazie ai discreti (nel senso di “non invasivi o posticci”) effetti digitali. Ma uno show come Colony dev’essere valutato nei suoi sviluppi narrativi e nella sua tenuta sul lungo periodo, quindi è ancora presto per esprimere un’opinione definitiva.
La citazione: «Il giorno più importante nella storia dell’umanità sta arrivando, Will.»
Ho apprezzato: La costruzione progressiva dell’intreccio; l’assenza di premesse o flashback che spezzano la tensione; l’invasione aliena trasformata in totalitarismo militare; le buone prove di Josh Holloway e Sarah Wayne Callies; la solida confezione tecnica.
Non ho apprezzato: Qualche dialogo troppo didascalico; la caratterizzazione psicologica dei protagonisti.
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