I Migliori Film del 2015 secondo ScreenWeek: la classifica di Lorenzo

I Migliori Film del 2015 secondo ScreenWeek: la classifica di Lorenzo

Di Lorenzo Pedrazzi

Il 2015 ha indubbiamente sancito la vittoria delle politiche hollywoodiane a livello di incassi cinematografici, grazie al ritorno di franchise infiniti (Fast and Furious, Mission: Impossible, Marvel) o appena resuscitati (Jurassic Park, Star Wars) che hanno ottenuto risultati brillanti ai botteghini di tutto il mondo, confermando il gusto delle platee internazionali per la serialità narrativa e per la reiterazione di formule consolidate. Se la qualità dei blockbuster è stata altalenante, il cinema di genere ha offerto i suoi prodotti più interessanti al di fuori delle grandi produzioni, soprattutto con quei film che hanno riscoperto tracce di autorialità nella fantascienza (Humandroid, Ex Machina, Predestination e soprattutto Mad Max: Fury Road) o in altri generi (Sicario, Remember, Goodnight Mommy), ma anche nell’animazione (Inside Out, Anomalisa). La riflessione sul presente, declinata in forme eterogenee, ha trovato sfogo in opere molto diverse tra loro come Spotlight o Beasts of No Nation, mentre l’analisi introspettiva ha toccato corde molto sensibili grazie a film quali La memoria del agua, Heart of a Dog e Room, dove il cinema assume uno sguardo meditativo sulle conseguenze del trauma e del dolore psicologico, facendosi – a seconda dei casi – catartico o disilluso. Alcuni, però, hanno ampliato questo discorso all’identità culturale di un popolo intero (come Sokurov con Francofonia), o l’hanno messo in relazione con il dramma storico della guerra e gli orrori dell’Olocausto (Il segreto del suo volto).

Nel compilare la mia personale TOP 10 del 2015, ho dovuto tenere conto solo dei film effettivamente distribuiti in Italia nel corso dell’anno, quindi sono stato costretto a escludere opere memorabili come i già citati Anomalisa e Room, o due gioielli di scrittura come Steve Jobs e The Lady in the Van; analogamente, ho dovuto ignorare alcune mie colpevoli mancanze, ovvero film che non ho ancora visto ma che avrebbero tutto il potenziale per entrare nella classifica: mi riferisco in particolare a Foxcatcher, Blackhat, Bella e perduta, The Lobster e The Walk, che recupererò il prima possibile.

Prima di lasciarvi alla mia lista, vi ricordo che quest’anno potete creare anche voi la vostra Top10 personale: andate su ScreenWeek.it, loggatevi o create in pochi istanti il VOSTRO PROFILO, e poi andate nella sezione LISTE. Seguite il percorso guidato, e in pochi click potrete farlo anche voi!

Vi ricordo anche le TOP 10 di Daniele / Leotruman, Roberto Recchioni, Filippo e Marlen.

top10

MENZIONI SPECIALI, ovvero quei film che rientrerebbero in un’ideale TOP 20: Humandroid, Non essere cattivo, Predestination, Dio esiste e vive a Bruxelles, Ex Machina, Kingsman, Beasts of No Nation, Ant-Man, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Whiplash.

Ed ecco la mia TOP 10:

10THE ONE I LOVE di Charlie McDowell

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Distribuito per la prima volta in Italia su Netflix, The One I Love segue la scia di quel cinema indipendente americano che prende la fantascienza e le restituisce la sua funzione originaria: indagare sul presente attraverso la metafora, senza concedere spazio alla spettacolarizzazione hollywoodiana. Un dramma romantico (ma mai greve, anzi ricco d’ironia) che sfrutta gli espedienti fantascientifici per riflettere sui rapporti di coppia, denudandone la realtà sconfortante: nessuno, per quanto si sforzi, sarà mai all’altezza delle aspettative “idealistiche” del proprio partner.
Lucido e divertente, con le valide interpretazioni di Mark Duplass ed Elisabeth Moss.

9STRAIGHT OUTTA COMPTON di F. Gary Gray

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Come il flow di un pezzo rap, Straight Outta Compton scorre per due ore e mezza con una narrazione furibonda e scalpitante, raccontandoci l’ascesa e la caduta degli N.W.A. in un contesto storico funestato da gravissime tensioni razziali: siamo nella Los Angeles degli anni Ottanta, ma il nostro presente non è molto diverso. Il film ritrae tutto questo con una limpidezza sorprendente, alternando il quadro generale (le ritorsioni di polizia ed FBI, le denunce dei politici, le proteste dei benpensanti) all’esplorazione del rapporto privato tra i membri del gruppo, valorizzando al contempo le ottime performance di Corey Hawkins e O’Shea Jackson Jr..

8FRANCOFONIA di Aleksandr Sokurov

francofonia

Film-saggio di grande raffinatezza formale, Francofonia medita sulla funzione del “museo” come epicentro della cultura – e quindi dell’identità – di un intero popolo. Sokurov ritrae il Louvre nel suo momento di maggior crisi (l’occupazione nazista) per celebrarne il ruolo fondamentale nell’arte europea, e nella definizione di un’identità che resiste anche di fronte alle scosse telluriche della Storia. Il cineasta dialoga con gli spettri che abitano le sale del grande museo, osservandoli con sguardo dolente e disincantato, consapevole che la salvezza del Louvre e la tutela dell’identità europea abbiano comportato un sacrificio molto grave: quello della Russia, temuta anche dai francesi per il pericolo bolscevico, e trattata senza il medesimo riguardo (Ermitage compreso).

7IL PONTE DELLE SPIE di Steven Spielberg

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Steven Spielberg dimostra per l’ennesima volta la sua maestria nel costruire tensione ed emozione, anche in un’opera piacevolmente eterogenea come questa. In parte dramma giudiziario e in parte thriller spionistico, screziato di ironia grazie al copione dei fratelli Coen, Il ponte delle spie è soprattutto un film dove Spielberg continua a fare il tifo per l’umanità, disseppellendola sotto strati e strati di follia nazionalista, ottuso fanatismo e “ragion di stato”: al di là delle divisioni politiche e del cieco patriottismo (dell’una o dell’altra parte), ciò che conta davvero è la solidarietà fra gli uomini.
Più amaro e dolente di quanto non sembri in apparenza, nonostante il finale conciliatorio.

6SICARIO di Denis Villeneuve

sicario

Con Sicario, il canadese Denis Villeneuve si conferma come uno dei più grandi talenti del cinema nordamericano, poiché celebra il fallimento dell’etica idealista e dell’integrità professionale in un’America costretta a scendere a patti con gli orrori della sua quotidianità. L’ottima Emily Blunt è una novella Alice che si addentra in un abisso indecifrabile, sgranando gli occhi di fronte all’istituzionalizzazione del male: nessuno sorveglia i sorveglianti, i paladini della giustizia sono profeti inascoltati.
Regia impeccabile ed elegantissima nel costruire la tensione.

5BABADOOK di Jennifer Kent

The Babadook

L’australiana Jennifer Kent esordisce nel lungometraggio e centra uno dei migliori film horror degli ultimi anni: Babadook dà vita alle frustrazioni materne attraverso un’efficace metafora spettrale, che attinge all’immaginario infantile (le filastrocche, i libri illustrati, il Babau o Boogeyman) per evocare paure ancestrali, come se il “rassicurante” ambiente domestico si trasformasse in una foresta irta di minacce. Con uno sguardo vigorosamente femminile, Kent non si sottrae alla conflittualità del rapporto tra madre e figlio, né cede alla sua potenziale retorica, ma s’immerge negli abissi del trauma fino a toccarne le corde più sensibili: alle radici dell’orrore, sepolto nello scantinato o nel buio del sottoscala, c’è un cuore nero che nessuna catarsi potrà mai schiarire.

4IL SEGRETO DEL SUO VOLTO di Christian Petzold

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Christian Petzold e il co-sceneggiatore Harun Farocki elaborano un raffinato meccanismo narrativo che ci spinge a interrogarci sul vero significato dell’identità, soprattutto in rapporto alla percezione – spesso fallace – degli altri. Il segreto del suo volto è un thriller emotivo – con echi hitchcockiani – dove il nucleo del racconto non sta nella soluzione del mistero, ma nel gioco di rimandi fra il trauma dell’Olocausto, le ferite della guerra e la (ri)costruzione dell’identità individuale attraverso la metamorfosi della protagonista, sia fisica sia psicologica.
Un melò enigmatico e ammaliante, ricco di citazioni cinematografiche.

3INSIDE OUT di Pete Docter e Ronaldo Del Carmen

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Reduce da alcuni film puramente “alimentari”, la Pixar torna ai suoi massimi livelli grazie a questo capolavoro dell’invenzione astratta, dove i processi cognitivi sono trasfigurati in veste fantastica e antropomorfa. Inside Out è l’epopea della crescita, un percorso formativo delicatissimo che costringe la giovane protagonista ad accettare una scomoda verità: per sopravvivere alle ingerenze del futuro, è sempre necessario sacrificare qualcosa del proprio passato, che diventa irrecuperabile e venato da sentimenti contraddittori. L’accettazione di questa consapevolezza è un primo passo verso l’età adulta, dove le emozioni si fanno più complesse e la visione del mondo diventa meno manichea, più sfumata, più disposta all’inevitabile compromesso.
Un film sorprendentemente maturo e ben poco conciliatorio.

2MAD MAX: FURY ROAD di George Miller

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Il mondo del cinema si era dimenticato di George Miller, sbagliando di grosso: Mad Max: Fury Road è la consacrazione di un talento che non si è mai esaurito, e che aveva bisogno di sfogarsi in una corsa folle e impetuosa nel deserto post-atomico, dove la saga di Max Rockatansky si rinnova tra battaglie furibonde e lampi metafisici. Un film incredibile, un grido di guerra rivolto al cinema d’azione contemporaneo, anestetizzato da formule ripetitive e stereotipi ormai esausti. Miller, invece, riporta il discorso al livello del corpo, della carne e del sangue, premendo sul parossismo e sugli scorci di lirismo apocalittico, coadiuvato dai grandiosi Tom Hardy e Charlize Theron.
Uno dei migliori action del nuovo millennio, se non il migliore.

1VIZIO DI FORMA di Paul Thomas Anderson

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Nuova tappa nel percorso di maturazione di Paul Thomas Anderson, autore complesso che ama scavare nel ventre contraddittorio di un’America cinica e tragicomica. Vizio di forma, basato sul romanzo omonimo di Thomas Pynchon, è una detective story allucinata e surreale, eppure lucidissima nel ritrarre un contesto storico ben definito: la California del 1970, dove il tramonto dell’utopia hippy coincide con l’assorbimento dei suoi valori primari – la rivoluzione sessuale, la musica rock, la spiritualità intimista – all’interno del pensiero istituzionale, che li addomestica per il consumo di massa. Con l’occhio rivolto a Il lungo addio (altro capolavoro che rilegge il noir in veste bizzarra e stralunata), Anderson confeziona un film bellissimo, ironico, lisergico e dolente, che sfreccia verso il tramonto di un’epoca selvaggia e irripetibile.
Il capolavoro del disincanto.

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