Risalire alle origini di Moby Dick per esplorare le radici del mito americano: nel raccontare la vera tragedia della baleniera Essex, affondata nel 1820 dall’attacco di una balena, Heart of the Sea colloca la vicenda in un percorso storico preciso, dove la ricerca di fonti energetiche sempre più abbondanti e fruttuose genera profonde contraddizioni sociali, economiche e ambientali, prima che l’intero status quo venga stravolto dalla scoperta del petrolio. L’avventura si dipana nella forma di una meta-narrazione, incorniciata dalla presenza di Herman Melville in veste di “guida”: è proprio lui a recarsi in visita da uno dei sopravvissuti, Thomas Nickerson, per farsi raccontare la verità sull’incidente, che diverrà la base di partenza per il suo futuro capolavoro.
Così, non appena il flashback ci riporta al 1820 e Owen Chase (Chris Hemsworth) si imbarca sull’Essex come Primo Ufficiale del Capitano George Pollard (Benjamin Walker), il film prende una strada piuttosto convenzionale, inanellando alcuni cliché tipicamente hollywoodiani nella definizione dei conflitti: la caratterizzazione cinica e fredda degli armatori, il dualismo del rapporto tra Chase e Pollard, l’ostilità di Coffin (cugino del Capitano) nei confronti del Primo Ufficiale, l’amicizia fraterna tra Chase e Joy… tutte le relazioni interpersonali attingono a modelli abbondantemente prestabiliti, forse troppo “cinematografici” per risultare credibili in una ricostruzione storica. Ma il film di Ron Howard ha una struttura bipartita, e nella seconda parte – dall’attacco della balena in poi – riesce a cambiare marcia. La spettacolarità dell’azione si accompagna a una progressiva apertura verso un racconto più viscerale, “fisico” e concreto, come i corpi deperiti dei marinai e l’impressionante dedizione degli attori, dimagriti visibilmente per restituire sullo schermo gli effetti dell’inedia.
È in questo momento che Heart of the Sea abbraccia le sue potenzialità di apologo universale, mettendo in scena l’antica lotta tra Uomo e Natura non come un requisito imprescindibile del progresso, ma come uno scontro disperato tra due forze opposte che devono imparare a convivere per la mutua sopravvivenza. Non ci sono buoni e cattivi, né giudizi morali: la Natura, semplicemente, interviene per ristabilire un equilibrio, mentre nell’incrocio di sguardi esausti tra Owen e la balena c’è un lampo di comprensione reciproca che suggerisce la necessità di una tregua. Le inquadrature ravvicinatissime di Ron Howard – talvolta incollate a un volto o un’azione – valorizzano la fisicità carnale del film, il quale diventa una storia di corpi disfatti, martoriati, scavati e cannibalizzati, se non addirittura “esplorati” al loro interno, come accade al talentuoso Tom Holland quando viene calato nella testa di uno spermaceti per recuperarne l’olio (scena che ricorda un momento analogo di Moby Dick).
Di ottimo livello l’apparato tecnico, soprattutto grazie alla fotografia di Anthony Dod Mantle, ai costumi di Julian Day e al fotorealismo della CGI, che dà vita a balene possenti e molto verosimili. Heart of the Sea è un altro tassello nella cinematografia “classica” di Ron Howard, che reinterpreta i vecchi kolossal in veste contemporanea e riesce a far convivere il lusso scintillante della tecnologia con la visceralità del dialogo Uomo-Natura.
QUI trovate la pagina Facebook ufficiale di Heart of the Sea, in uscita il 3 dicembre nelle sale italiane. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito della Warner Bros.
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