Raccontare la storia di Einar Wegener significa risalire alle origini di una rivoluzione che ha sfidato non soltanto la morale, ma anche la concezione stessa del corpo come un tempio immutabile, o una prigione da cui non c’è uscita. Tom Hooper, d’altra parte, possiede il mestiere e la sensibilità per confezionare un biopic di gran classe, e The Danish Girl conferma le aspettative: un film di grande cura formale, delicato e sempre al servizio dei suoi attori.
Il tema dell’immagine si riverbera lungo tutto l’arco della narrazione, ed è un gioco di specchi tra il soggetto guardante (l’uomo) e l’oggetto guardato (la donna), fino all’inevitabile ribaltamento di prospettiva: Einar deve abituarsi a diventare l’oggetto dell’attenzione maschile, diretta conseguenza della sua metamorfosi fisica e comportamentale. Eddie Redmayne, pur essendo a tratti un po’ sopra le righe, è bravo a interpretare un personaggio che in principio si comporta proprio come un attore, e deve adottare strategie mimetiche per acquisire la gestualità, la postura e le espressioni facciali di una donna, dando voce alla sua vera natura. Al contempo, però, Alicia Vikander gli tiene testa con grande eleganza, e lascia trasparire il conflitto interiore di una donna che “perde” gradualmente suo marito, sforzandosi di comprendere le sue esigenze; in tal senso è forse inevitabile empatizzare con lei, vittima e anche iniziatrice involontaria di questo cambiamento. Il processo, in effetti, s’innesca quando Gerda chiede a Einar di posare in abiti femminili, suggerendogli poi di assumere l’identità di Lili per gioco, e infine ritraendolo con il suo nuovo aspetto. Il dipinto è un altro specchio che denuda il vero volto dell’uomo, poiché l’arte riflette significati nascosti, squarcia il velo e mostra la realtà intima delle cose. Non c’è forse più verità emotiva nei quadri di Einar, filtrati attraverso la sua memoria, che nei paesaggi danesi a cui si è ispirato? Questo cortocircuito tra arte e vita imprime un andamento circolare a The Danish Girl, che si apre e si chiude sulle medesime suggestioni, riportando Einar/Lili dove tutto è cominciato.
Hooper fa emergere la vera identità del protagonista in modo progressivo, concentrandosi sui dettagli che prefigurano la sua evoluzione. Non c’è dubbio che talvolta le sue soluzioni siano molto convenzionali (le musiche collocate al punto giusto, il simbolismo elementare della sciarpa), ma la sceneggiatura ha il pregio di rispettare il punto di vista di entrambi i protagonisti, senza privilegiare lo sguardo di Einar o quello di Gerda. Gli splendidi costumi di Paco Delgado, inoltre, contribuiscono a stabilire il clima degli anni Venti, immergendo gli attori in una Belle Époque dove la comunità degli artisti cominciava a sperimentare uno stile di vita più libero e provocatorio. Einar è ritratto come un vero precursore, e Hooper gli rende omaggio con un’elegia amara e melodrammatica, impreziosita dalla qualità delle interpretazioni e dei valori produttivi.
Presentato in concorso alla 72ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è The Danish Girl, The Danish Girl uscirà nelle sale italiane il 4 febbraio. Troverete maggiori informazioni sulla pagina facebook ufficiale.
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