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Non essere cattivo – La recensione del film di Claudio Caligari #Venezia72

Pubblicato il 07 settembre 2015 di Lorenzo Pedrazzi

Che decidiate di considerarlo come il “testamento” di Claudio Caligari oppure no, Non essere cattivo è sicuramente una sintesi della sua poetica e dei temi che gli stavano a cuore sin dall’esordio con Droga che fare, nel 1976.

La storia di Cesare e Vittorio, eredi dei “ragazzi di vita” pasoliniani, si svolge nella Ostia degli anni Novanta, in un contesto precario dove i piccoli crimini s’intrecciano al consumo di svariate droghe, tutte facilmente reperibili dai più giovani. Cambiano i vizi autodistruttivi, ma le condizioni restano le stesse: i protagonisti vivono ai margini della società, campano di espedienti e cercano di proteggere al meglio la propria sfera affettiva (come Cesare con la figlia di sua sorella, morta di AIDS). L’amore e un lavoro onesto offrono qualche vaga possibilità di riscatto, ma spesso non bastano, e le vecchie tentazioni sono dure a morire.

Non essere cattivo Luca Marinelli Alessandro Borghi foto dal film 5

Caligari pedina i suoi personaggi con dolcezza e ironia, valorizzando anzitutto gli scorci di umanità che si palesano nelle loro azioni, e poi il lieve umorismo grottesco che talvolta ne consegue. Memore di quell’epoca in cui l’assenza di valori della Generazione X era oggetto di dibattito sui media istituzionali, il regista evidenzia l’isolamento della provincia, il degrado di un ambiente che influenza i suoi abitanti (e non viceversa), lo smarrimento post-adolescenziale di due ragazzi cresciuti con un antico senso di lealtà, dal carattere quasi arcaico. Alcune soluzioni possono apparire gratuite o un po’ stucchevoli, forse persino vetuste, ma nel film di Caligari si avverte una fedeltà innata nei confronti di questi personaggi e del loro contesto sociale, anche quando il racconto si fa impietoso.

Non c’è paternalismo nel suo sguardo, né retorica d’accatto. Non essere cattivo ha l’onestà di scendere nelle strade con i suoi ragazzi, accompagnandoli in un percorso dall’esito duplice. La narrazione è frammentaria come le vite incerte dei protagonisti, le cui sorti si sviluppano in modo coerente alle loro scelte, seppure con qualche passaggio un po’ affrettato. Ma la prospettiva su questa realtà instabile si conferma estremamente lucida, così come la doppiezza dei sentimenti: i “figli” rischiano di ripetere gli errori dei “padri”, ma solidarietà e fratellanza possono rompere il circolo vizioso.

Un film ruvido e intenso, figlio del decennio in cui è ambientata la trama, ma ancora valido e attuale.

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