Impareggiabile architetto di labirinti mentali, Charlie Kaufman trova nello stop-motion il porto franco delle sue ansie creative, ovvero il luogo perfetto dove sfogare liberamente tutta la complessità del suo immaginario esistenziale (grazie all’apporto del crowd-funding, che affranca la produzione dal giogo degli studios).
Anomalisa nasce come spettacolo teatrale, ma l’approdo al cinema d’animazione sembra frutto di un processo naturale, quasi obbligatorio per un soggetto del genere: viviamo poche ore nella vita di Michael Stone (David Thewlis), guru dei libri motivazionali che si reca a Cincinnati per una conferenza, e comincia a sperimentare la sconfortante omogeneità del mondo che lo circonda. I volti sono tutti identici, le voci sono indistinguibili le une dalle altre, le banalità verbali sono sempre le stesse. Almeno finché non incontra Lisa (Jennifer Jason Leigh): dolce e sensibile, intimidita da una piccola cicatrice sul viso, Lisa è l’eccezione, l’anomalia… Anomalisa, insomma. I due trascorrono la notte insieme, ma cosa succederà alla luce del mattino?
Kaufman è supportato alla regia da Duke Johnson, che ha diretto il memorabile episodio natalizio in stop-motion di Community; non a caso, Anomalisa è prodotto dalla Starburns Industries di Dino Stamatopoulos e Dan Harmon, brillante creatore della sit-com americana. La sceneggiatura è però interamente frutto di Kaufman, il quale vi riversa le medesime ossessioni che caratterizzavano i suoi lavori passati, come i tranelli dell’identità individuale (Essere John Makovich) e la caducità del sentimento amoroso (Eternal Sunshine of the Spotless Mind), raggiungendo una sintesi buffa e malinconica dei suoi temi ricorrenti. L’autore costruisce alcuni esilaranti siparietti dialogici che denudano la vacuità degli small talk, lasciando crescere l’insofferenza di Michael fino all’incontro con Lisa, voce fuori dal coro (in senso letterale) che gli restituisce un barlume di felicità. L’espediente utilizzato, in tal senso, è semplice ma efficacissimo: con l’esclusione di Michael e Lisa, tutti i personaggi sono doppiati dalla stessa voce maschile (Tom Noonan) e hanno la stessa faccia, declinata in età e generi diversi.
Se ne ricava l’impressione di un mondo sedato e dormiente, immerso nel liquido amniotico della propria mediocrità, che Michael cerca di scuotere con proclami di buon senso (la storia è ambientata nel 2005, in piena era Bush), ma ricevendo in risposta solo la consueta retorica populista. Al contempo, la comicità surreale ha il pregio di trasfigurare la quotidianità in una dimensione grottesca, ricca di nonsense, dove i dialoghi frizzanti di Kaufman aumentano il senso di straniamento che ne consegue. I pupazzi animati, d’altra parte, sono stranianti per definizione, soprattutto con un taglio registico come quello di Anomalisa, che replica il linguaggio del cinema “dal vivo” sia nelle scelte di montaggio sia nella costruzione delle inquadrature.
L’ironia non ha però una funzione salvifica, tutt’altro: è una resa incondizionata al disgusto della realtà, un’accettazione sarcastica delle sue innumerevoli amarezze. L’umorismo è disilluso, la ricerca del contatto umano scivola sempre nell’imbarazzo, i rapporti erotici (paradossalmente tra i più verosimili mai visti nel cinema americano) sono goffi e impacciati. In questo contesto, Kaufman e Johnson non dimenticano di svelare l’artificio della rappresentazione, reso evidente dalle cuciture ben visibili sulle facce dei pupazzi, instabili e pericolanti come maschere in procinto di cadere: è tutta una farsa, sembra dirci l’autore, e noi ne facciamo parte. Eppure, la compattezza “materica” dei personaggi di Anomalisa restituisce un senso di umanità che supera persino i film in live-action, stravolgendo – se ancora ce ne fosse bisogno – le concezioni più stereotipate sul cinema d’animazione. Carne e ossa contano poco, quando la realtà dei sentimenti è così cristallina.
Da non perdere.
[widget/movie/29391]