Supergirl, la recensione dell’episodio pilota

Supergirl, la recensione dell’episodio pilota

Di Lorenzo Pedrazzi

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Dopo aver trasposto per il piccolo schermo sia Arrow sia The Flash, il produttore/sceneggiatore Greg Berlanti ci riprova con Supergirl, affiancato dal consueto partner Andrew Kreisberg e da Ali Adler. In attesa che lo show debutti sulla CBS il prossimo novembre, vediamo com’è l’episodio pilota…

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

Quando il pianeta Krypton stava per esplodere, Kara Zor-El (Melissa Benoist) fu inviata dai suoi genitori sulla Terra per salvarle la vita, e al contempo per proteggere il cuginetto Kal El. La navicella di Kara, però, fu risucchiata dalla Zona Fantasma (una dimensione dove il tempo è congelato), e rimase laggù per 24 anni. Quando finalmente ritrovò la rotta per il nostro pianeta, fu seguita da una nave spaziale che conteneva i peggiori criminali di Krypton, i quali stavano scontando la loro pena nella Zona Fantasma.
Giunta sulla Terra, Kara fu accolta da Kal El – ormai diventato Superman – e affidata ai coniugi Danvers (Dean Cain e Helen Slater), che la allevarono come fosse figlia propria. Kara crebbe sotto alla loro protezione, insieme alla sorella adottiva Alex (Chyler Leigh).
Oggi, Kara ha 24 anni, tiene nascosti i suoi poteri e lavora come assistente per la magnate dell’editoria Cat Grant (Calista Flockhart), donna spietata e arrogante che ha appena assunto un nuovo art director proveniente da Metropolis, James Olsen (Mehcad Brooks). James è il fotografo che ha scattato la prima immagine di Superman, e Kara s’invaghisce subito di lui. Quella sera, dopo un disastroso appuntamento al buio, la ragazza scopre che l’aereo su cui sta viaggiando sua sorella ha avuto un guasto al motore e sta precipitando, così decide di usare i suoi poteri per salvarlo: spicca il volo e riesce a far ammarare l’apparecchio sulla superficie del fiume. Ora la città sa che esiste qualcun altro con gli stessi poteri di Superman. Alex, però, se la prende con lei perché ha svelato al mondo la sua esistenza.
Kara decide comunque di perseguire l’attività supereroistica, e confessa tutto al suo collega Winn (Jeremy Jordan) per farsi dare una mano. Winn la affida a suo cugino, che le confeziona un costume: sul petto è disegnato il simbolo della famiglia El, una “S”. Dopo alcune imprese, però, Kara viene colpita da un sedativo alla kryptonite e catturata dal D.D.O. (Department for Extra-Normal Operations), che si occupa di monitorare l’attività aliena sulla Terra dopo l’arrivo di Superman. L’agenzia è guidata da Hank Henshaw (David Harewood), un uomo che diffida degli extraterrestri, e Kara scopre che ci lavora anche Alex. Henshow le consiglia di astenersi dal fare la supereroina e non vuole il suo aiuto nemmeno contro i pericolosissimi criminali di Krypton. Kara, però, riceve il messaggio di uno di loro, Vortex (Owain Yeoman), che è stato incaricato di ucciderla. I due combattono, ma Vortex è armato con un’ascia che può ferirla, e per poco non la uccide. Viene messo in fuga da Alex con un elicottero del D.D.O..
Kara è scoraggiata, ma Alex le dice che crede in lei, e le mostra una registrazione olografica della sua madre naturale, Alura Zor-El (Laura Benanti), che le restituisce fiducia. Le due sorelle tornano al quartier generale del D.D.O., dove nel frattempo la traccia radioattiva dell’ascia di Vortex ha permesso di rintracciare il supercriminale. Kara è convinta di poterlo fermare, e convince Henshaw a permetterglielo. Dopo aver raggiunto il suo avversario, Supergirl lo affronta e, dopo un duro combattimento, riesce a far esplodere la sua ascia (che ha una carica nucleare) con la sua vista termica. Vortex, sconfitto, l’avverte che è solo l’inizio, e poi si suicida con un frammento dell’ascia. In seguito, Kara parla con James e scopre che lui sa tutto: è stato Superman a mandarlo a National City con il preciso scopo di tenerla d’occhio e aiutarla a trovare la sua strada.
Alla fine, scopriamo che il mandante di Vortex è la zia di Kara: la donna sostiene che il suo diritto fosse di governare Krypton, e ora vuole prendere il potere sulla Terra… anche a costo di uccidere sua nipote.

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La Ragazza d’Acciaio
L’annosa ricerca della “diversità” sessuale in ambito supereroistico trova il suo coronamento in Supergirl, che raggiungerà il pubblico americano con netto anticipo rispetto alle trasposizioni cinematografiche di Wonder Woman e Captain Marvel, mentre A.K.A. Jessica Jones dovrebbe arrivare su Netflix più o meno nello stesso periodo (fine 2015). Non è certo un caso che la scelta di Greg Berlanti, Andrew Kreisberg e Ali Adler sia ricaduta proprio su Kara Zor-El: la cugina di Superman non è soltanto uno dei personaggi femminili più celebri della DC Comics, ma consente inoltre di replicare alcune dinamiche narrative ben note al grande pubblico, poiché la sua storia – e, per certi versi, la sua evoluzione – attinge agli stessi topoi dell’Uomo d’Acciaio. La differenza è che Supergirl, oscurata dall’ombra del celebre cugino, deve compiere un percorso formativo doppiamente complicato, quasi una metafora dell’attuale condizione femminile in campo professionale: Kara è “solo” una ragazza, quindi viene discriminata a prescindere dalle sue reali capacità, soprattutto in un ruolo d’azione come quello della supereroina. Per farsi rispettare, deve quindi smarcarsi dai legami familiari con Superman, e affermare la propria individualità davanti ai cittadini di National City.

3

Tutto questo è molto condivisibile, e risulta estremamente chiaro dall’episodio pilota. Anche troppo: la sceneggiatura continua a ricordarci la “peculiarità” della protagonista, affermando costantemente che 1) , è una donna; 2) , viene discriminata per questo e 3) no, non ci sono abbastanza modelli femminili nel mondo dei supereroi, quindi la presenza di Kara è necessaria. Sembra quasi uno spot indirizzato alla CBS, per farsi ordinare lo show… e non siamo nemmeno così lontani dalla verità, trattandosi di un pilot (obiettivo raggiunto, peraltro). Insomma, la legittima ricerca della diversità sessuale sfocia purtroppo in un copione didascalico, oberato di dialoghi “a tesi” dove gli autori sembrano rivolgersi direttamente a noi spettatori, oppure al network stesso. È arduo non pensarlo, soprattutto quando la cameriera della tavola calda esclama: «Non posso crederci, un’eroina donna! Finalmente mia figlia avrà un modello di riferimento!». Tanto varrebbe utilizzarlo come tagline della serie.

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Questo non significa che l’obiettivo di Supergirl sia fuori luogo, ma solo che i mezzi utilizzati per raggiungerlo siano alquanto discutibili, poiché diffidano dell’intelligenza del pubblico. Inoltre, le prime avvisaglie della trama orizzontale paiono tutt’altro che originali (il solito big bad che vuole governare il mondo), mentre certe dinamiche sono prelevate di peso da Smallville e The Flash (come il ruolo della sorella, Alex, che prima si oppone alle scelte della protagonista e infine la sostiene, comunicandole fiducia via radio: la stessa cosa che fece Harrison Wells nel pilot di The Flash). Detto questo, il didascalismo della sceneggiatura non rovina l’episodio in modo irreparabile, e la serie conserva qualche margine di miglioramento. La commistione tra fantasy e commedia – attraversata dalle influenze di Ugly Betty e Il Diavolo veste Prada – funziona abbastanza bene in termini di ritmo e briosità, pur senza vertici di memorabile ironia. Questo approccio potrebbe favorire l’identificazione delle giovani spettatrici, anche per merito di una protagonista tenera e impacciata, molto “umana” nelle sue reminiscenze adolescenziali, e lontana dalle precedenti incarnazioni televisive (niente a che vedere con la supermodella di Smallville, per intenderci). Melissa Benoist, in tal senso, coagula in sé quei tratti di dolcezza e goffaggine che avvicinano Kara al suo pubblico ideale: la sua performance è ricca di fragilità, insicurezze e giocosità infantile, pur essendo talvolta un po’ sopra le righe. Per contrasto, il personaggio di Calista Flockhart è francamente insopportabile, non per la sua innata arroganza, ma perché la pigrissima caratterizzazione del personaggio si limita a riproporre i consueti cliché di Miranda Priestly.

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Ben curato il versante spettacolare: se si escludono alcune incertezze con il green screen nel prologo su Krypton, gli effetti visivi sono molto buoni rispetto al budget televisivo, mentre le divertenti scene d’azione sfruttano appieno le potenzialità di Supergirl. Volano più cazzotti qui che in tutto Superman Returns, ma non è che ci volesse molto. Notevole, in particolare, il salvataggio dell’aereo che innesca la “carriera” supereroistica di Kara (e che ricorda parecchio una sequenza simile nel film di Singer): il digitale, coadiuvato dall’ambientazione notturna, non mostra mai alcun segno di cedimento, e il risultato è ottimo. Come spesso accade in queste circostanze, lo spettacolo visivo salva l’intrattenimento: vedremo se, nel corso della prima stagione, sarà sufficiente così.

La citazione: «Sono stata mandata qui per proteggere mio cugino. Ho scoperto che non gli serve la mia protezione… ma c’è un intero pianeta che ne ha bisogno.»

Ho apprezzato: la spettacolarità degli effetti visivi e delle scene d’azione; la caratterizzazione della protagonista; la commistione tra fantasy e commedia.

Non ho apprezzato: l’eccessivo didascalismo della sceneggiatura; la caratterizzazione di Cat Grant; le dinamiche narrative poco originali.

Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi di Supergirl sul nostro Episode39 a questo LINK.

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