Game of Thrones, la recensione della premiere: The Wars to Come

Game of Thrones, la recensione della premiere: The Wars to Come

Di Lorenzo Pedrazzi

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Su HBO e Sky Atlantic ha debuttato il primo episodio della quinta stagione di Game of Thrones, intitolato The Wars to Come, che ci introduce gradualmente al nuovo status quo della serie…

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

Cersei Lannister: In un flashback, una strega predice il futuro alla piccola Cersei: i suoi tre figli avranno corone dorate, ma anche tre sudari dorati. Nel presente, ritroviamo Cersei che veglia sul cadavere di Tywinn, mentre accusa Jaime di aver causato indirettamente la morte del padre, liberando Tyrion. In seguito, Cersei incontra suo cugino Lancel, che fu suo amante, e versò a Robert la coppa di vino drogato; ora, il ragazzo fa parte di una setta religiosa nota come “i Passeri”, e cerca di convincerla – inutilmente – che «nella luce dei Sette» si può trovare la pace.

Sansa Stark: mentre Robin viene addestrato a combattere, con pessimi risultati, Sansa e Petyr Baelish partono in carrozza per un luogo «talmente lontano che nemmeno Cersei Lannister potrà allungare le sue mani su di lei».

Tyrion Lannister: finalmente sbarcato sul Continente Orientale dopo uno scomodo viaggio in nave (dov’è rimasto sempre nascosto dentro una cassa), Tyrion viene liberato da Varys, il quale gli spiega che il suo talento per la diplomazia e il suo spirito compassionevole saranno fondamentali per salvare i Sette Regni. Tyrion, stanco e disilluso, non è affatto d’accordo. Varys, però, gli rivela che Daenerys Targaryen è l’unica su cui si può contare per riportare pace e stabilità a Westeros, poiché più forte di Tommen e più buona di Stannis. Alla fine, Tyrion accetta di seguirlo a Meereen per incontrare la Madre dei Draghi.

Margaery Tyrell: dopo aver sorpreso suo fratello Loras a letto con il suo amante, lo sprona a vestirsi per non far attendere il Re. Lui ritiene che sposare Cersei sia l’unico modo per allontanarla da Approdo del Re, ma Margaery lascia intendere che potrebbe conoscere un altro sistema per levarsela dai piedi.

Brienne di Tarth: avvilita per il fallimento della sua missione, Brienne non vuole che Podrick la segua, ma il ragazzo insiste nel farle da scudiero, anche se lei non è ufficialmente un cavaliere.

Daenerys Targaryen: un Immacolato viene ucciso in un bordello dai Figli dell’Arpia, che si oppongono a Daenerys; per tutta risposta, la giovane Regina ordina che i soldati pattuglino la città. In seguito, un emissario le comunica che la città di Yunkai ha rinunciato alla schiavitù, e i sovrani precedenti hanno accettato di sottostare al nuovo governo composto sia da ex schiavi sia da ex schiavisti. I vecchi padroni hanno però una richiesta: domandano la riapertura delle fosse da combattimento, una tradizione del luogo. Daenerys non ammette simili manifestazioni di violenza, soprattutto per “sport”, ma Daario Naharis le consiglia di cedere su quel punto, poiché sa quanto le arene siano importanti per quel popolo (e per gli stessi guerrieri). Daenerys, ora, si chiede se sia il caso di accettare o meno, e per dimostrare la sua forza decide di liberare i draghi che ha incatenato nei sotterranei: incattivite dalla prigionia, le due creature sembrano ormai ingestibili.

Jon Snow: al Castello Nero, Jon addestra un giovane Guardiano alla battaglia, mentre Gilly cerca la protezione di Sam perché teme che Ser Allister la manderà via. Stannis chiede a Jon di convincere Mance a giurargli fedeltà, poiché ha bisogno dei Bruti per combattere contro Bolton e conquistare Grande Inverno. Anche di fronte alla morte, però, Mance non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua libertà, o di mandare il suo popolo in guerra per uno straniero, nonostante nutra una certa stima per Stannis. Rifiutatosi per l’ennesima volta di inginocchiarsi di fronte al Re, Mance viene legato a una pira per essere bruciato vivo. Non appena le fiamme cominciano a lambirlo, e nei suoi occhi si riflette il terrore, Jon gli evita ulteriori sofferenze con una freccia nel petto.

2

Utopia e Realpolitik
La premiere di Game of Thrones paga pegno alla sua funzione introduttiva, nonché parzialmente transitoria: il finale della quarta stagione ha modificato la fisionomia della serie attraverso alcuni eventi fondamentali (la morte di Tywinn, la fuga di Tyrion e Arya nel continente orientale, l’arrivo di Stannis alla Barriera, la complicità tra Sansa e Ditocorto), e il contesto narrativo si appresta quindi a raggiungere un nuovo status quo dove i personaggi dei due continenti avranno modo di incrociare il loro cammino, e i rapporti di forza in quel di Westeros potrebbero cambiare. Di fronte a questi stravolgimenti, The Wars to Come fa un po’ di fatica a riprendere le fila della storia, anche se imposta il discorso per il futuro dello show, ponendone le basi.

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La povertà di eventi significativi (perché, insomma, accade ben poco di concreto) non è bilanciata da un ritmo adeguato, e l’alternanza di sequenze dialogiche tra i vari personaggi risulta un po’ faticosa, soprattutto perché il confronto è improntato sulla stasi, sull’apatia, sul rifiuto: scossi dai traumi recenti, i personaggi respingono chi gli sta più vicino (Cersei con Jaime, ma anche Brienne con Podrick) oppure si trovano sull’orlo di decisioni importanti che però non sortiscono alcun effetto materiale, almeno per ora (Tyrion che accetta di seguire Varys a Meereen, Daenerys che valuta se riaprire le arene per il combattimento). È comunque interessante scoprire questo nuovo tassello nel percorso formativo della Madre dei Draghi, i cui obiettivi sono forse troppo ingenui per una vera regina: se vuole farsi rispettare come sovrana, e rendersi credibile come pretendente al Trono di Spade, Daenerys deve piegarsi ad alcune decisioni di Realpolitik, accettando compromessi che contravvengono alla sua utopia di pace e fratellanza. Lo stesso Varys si dimostra un vero utopista (sogna «un regno in cui i potenti non abusano dei più deboli»), ma sa fin troppo bene che non si potrà ottenere un simile risultato senza ricorrere alla guerra.

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Il momento migliore dell’episodio coincide con la sequenza finale. Jon Snow non riesce a convincere Mance a inginocchiarsi di fronte a Stannis, poiché il capo dei Bruti preferisce restare fedele al suo popolo fino all’ultimo, evitando così di coinvolgerlo nella guerra di uno straniero, e fornendo a tutti i suoi compagni un esempio di libertà e coerenza («La libertà di commettere i miei errori è ciò che ho sempre voluto»). La sequenza ha un crescendo drammatico che – pur senza tradire i dettami della sobrietà – sfocia nell’immagine straziante di Mance che viene bruciato vivo, e comincia a urlare e contorcersi tra le fiamme… finché Jon, addolorato, non decide di porre fine alle sue sofferenze con una freccia nel cuore. È la scena più intensa di un episodio un po’ sterile, privo della forza sanguigna e viscerale che solitamente caratterizza Game of Thrones.

La citazione: «Un nano ebbro non sarà mai il salvatore dei Sette Regni.»

Ho apprezzato: i dubbi di Daenerys tra Realpolitik e utopia; la sequenza finale con Mance e Jon.

Non ho apprezzato: l’assenza quasi totale di eventi significativi; l’alternanza faticosa tra le varie sequenze dialogiche.

Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi di Game of Thrones sul nostro Episode39 a questo LINK.

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