Nell’interpretazione degli osservatori più ingenui (come gli sparuti giornali che si occuparono della storica proiezione dei fratelli Lumière al Salon Indien, nel 1895), il cinema – al pari della fotografia – è sempre stato considerato come un mezzo per “compiere il fantasma supremo: uccidere la morte”, citando le parole di Noël Burch nel primo capitolo de Il lucernario dell’infinito. Effettivamente, il cinema conserva l’immagine fedele di persone, luoghi ed eventi che non ci sono più, e che “rivivono” ciclicamente nel corso di ogni fruizione, tramandando un ricordo ben più preciso (poiché meno frammentario, ma comunque parziale) rispetto alle capacità limitate della memoria umana. Nell’ultimo quarto di secolo, però, la rivoluzione digitale ha aumentato il potere rappresentativo della Settima Arte, che ora non ha soltanto la facoltà di conservare, ma persino quella di resuscitare, infondere nuova vita.
Se ne sta parlando moltissimo grazie al caso di Fast & Furious 7, appena uscito nelle sale. La morte di Paul Walker ha costretto la produzione ad adottare alcune raffinate soluzioni visive per completare le scene mancanti, impiegando un misto di CGI (curata dai maestri della WETA Digital), controfigure, frammenti ricavati dai precedenti capitoli della saga, e persino il coinvolgimento di Caleb e Cody Walker, fratelli dell’attore. Il risultato, come vi abbiamo raccontato nel nostro speciale e nella recensione del film, è molto credibile.
Quello di Paul Walker è uno degli esempi più clamorosi, ma naturalmente non è l’unico. Se volessimo rintracciare un precedente illustre, potremmo ricordare il caso di James Dean, morto alla fine delle riprese de Il gigante, ma prima della fase di montaggio: il regista George Stevens fu infatti costretto a incaricare un amico della star, Nick Adams, di ridoppiare alcune sue linee di dialogo per renderle più comprensibili. Questo accadeva ben prima dell’epoca digitale (e senza necessità di sostituire l’attore, poiché Dean aveva ultimato tutti i suoi ciak), ma il caso più eclatante, quello che ha cambiato tutto, si verificò nel 1993: mi riferisco ovviamente a Il Corvo, la cui fama “di culto” è parzialmente dovuta alla tragica sorte del protagonista Brandon Lee, ucciso sul set durante le riprese di una sparatoria (si tratta della scena in cui Eric, tornato a casa, trova la sua fidanzata Shelly malmenata e violentata da alcuni criminali). Sulla base del libro The Crow: The Movie di Jeff Conner e Robert Zuckerman, Wikipedia spiega piuttosto bene le circostanze del decesso:
Per motivi di tempo, non avendo colpi a salve, alcuni membri della troupe comprarono proiettili veri e ne rimossero la polvere da sparo all’interno, ricongiungendo il proiettile alla capsula a percussione. La pistola venne usata in diverse riprese, ma all’interno della canna rimase bloccato un proiettile per via di una carica debole. Il difetto passò inosservato e l’arma venne poi ricaricata con proiettili a salve per poi essere usata per girare la scena fatale. Per via della breve distanza e della canna ostruita, una carica a salve fu sufficientemente forte da far partire il proiettile bloccato che colpì Brandon all’addome.
Il regista Alex Proyas, su suggerimento della fidanzata di Brandon Lee, decise di concludere la produzione affidando le sequenze rimanenti a una controfigura, con l’aggiunta di alcuni ritocchi in digitale e di varie scene tagliate in precedenza, quando l’attore era ancora vivo. Si tratta di un’innovazione epocale nel rapporto tra la verità della carne e la menzogna dello schermo, tra vita reale e simulazione della stessa: il lavoro svolto da Proyas e dai suoi collaboratori – attraverso il montaggio e gli effetti computerizzati – è talmente raffinato da rendere impercettibili le scene girate con la controfigura o con le rielaborazioni in CGI. Senza dimenticare, inoltre, che nella tragedia di Brandon Lee riecheggia non soltanto la storia del protagonista Eric Draven, ucciso e poi resuscitato per compiere un’ultima “missione”, ma anche il dramma di suo padre Bruce Lee, morto durante le riprese di Game of Death; il progetto fu poi terminato – ma in una versione completamente stravolta – da Robert Clouse, che utilizzò alcune scene già girate da Lee (i combattimenti nella pagoda) e le integrò con varie sequenze interpretate da tre sosia, aggiungendovi ulteriori trucchi visivi per “simulare” la presenza sul set del grande artista marziale.
Un caso piuttosto simile a quello de Il Corvo, anche se in tono minore, accadde l’anno successivo con John Candy: l’attore comico, infatti, si spense per un attacco cardiaco durante la lavorazione di Wagon East!, commedia western diretta da Peter Markle. Mancavano pochissimi ciak prima della fine, quindi la produzione ebbe modo di concludere il film riutilizzando alcune inquadrature dello stesso Candy (come potrete vedere nel filmato sottostante), o sfruttando le tecniche digitali per muovere il suo personaggio da una scena all’altra; il regista impiegò anche una controfigura, mentre i dialoghi mancanti furono recitati da un attore con una voce simile alla sua.
La tappa successiva di questo percorso ci conduce a Il gladiatore (2000) di Ridley Scott, altro momento nodale nella sfida tra la Settima Arte e l’Oscura Signora. L’attore inglese Oliver Reed morì per un attacco di cuore prima di completare tutte le sue scene, ma The Mill, la compagnia di effetti visivi che lavorò alla post-produzione del film, lo “ricreò” digitalmente, fotografando una controfigura in ombra e poi applicandovi una maschera in CGI che riproduceva il volto di Reed (ricavato da alcune inquadrature precedenti), il tutto per due minuti di riprese. Anche in questo caso, l’esito è impressionante, e non sfigura nemmeno rispetto alle più recenti innovazioni della grafica computerizzata:
Naturalmente, non tutti possono permettersi una spesa aggiuntiva di 3.2 milioni di dollari in post-produzione: sul piccolo schermo le risorse sono più limitate, e i risultati diventano inevitabilmente più goffi. Nel 2001, la serie de I Soprano dovette sopperire alla scomparsa di Nancy Marchand (Livia Soprano) con una viso posticcio in CGI che potrete vedere nella clip sottostante. L’artifizio è palese, ma non così disastroso, soprattutto se consideriamo che questa animazione digitale risale a una quindicina di anni fa:
La CGI, però, consente anche di “resuscitare” grandi attori ormai scomparsi da tempo: è il caso di Laurence Olivier in Sky Captain and the World of Tomorrow, film di fantascienza dieselpunk che – prima ancora di Sin City e 300 – fece un uso massiccio del blue screen per creare panorami e scenografie interamente digitali. Olivier “interpreta” l’antagonista della storia, il Dr. Totenkopf, che si scopre essere morto da vent’anni, e appare sottoforma di ologramma. Il volto del grande attore inglese è stato riprodotto attraverso la manipolazione di alcune sue immagini tratte dall’archivio della BBC.
Ancor più raffinata, però, è la rielaborazione del viso di Marlon Brando in Superman Returns (2006), dove l’attore, morto nel 2004, riprende il ruolo di Jor-El a quasi trent’anni di distanza dal primo Superman di Richard Donner. Il regista Bryan Singer utilizzò alcune riprese inedite del film originale, e i movimenti della bocca di Brando furono adeguati digitalmente alle necessità della scena, in cui l’immagine di Jor-El viene proiettata sulle pareti cristalline della Fortezza della Solitudine. L’effetto è molto credibile, anche perché ulteriormente valorizzato dalle diverse angolazioni:
Poco noto, almeno in Italia, è invece il caso di Roy Scheider. L’attore morì durante la lavorazione di Iron Cross (2009), di cui interpretava il protagonista, ma il progetto fu terminato ugualmente grazie agli sforzi del regista Joshua Newton e dell’esperto truccatore Louis Lazzara, collaboratore di Scheider sin dagli anni Novanta: i due professionisti adottarono una combinazione di CGI e make-up per girare le scene rimanenti, sfruttando una maschera di latex prostetico che riproduce il volto dell’attore.
C’è da dire che il ventaglio di opportunità a disposizione dei registi è molto ampio, e non sempre coinvolge la grafica computerizzata. In seguito alla scomparsa di Heath Ledger, morto durante le riprese di Parnassus, Terry Gilliam concepì una soluzione molto creativa, nonché coerente con gli scenari fantastici del film: l’attore fu sostituito dagli illustri colleghi Jude Law, Johnny Depp e Colin Farrell, corrispondenti a tre diverse incarnazioni del suo personaggio, che muta il suo aspetto quando attraversa lo specchio magico del Dottor Parnassus. Anche River Phoenix perse la vita prima di terminare la lavorazione di un film, Dark Blood (1993) di George Sluizer, ma il regista decise di completarlo nel 2012, colmando le sequenze mancanti con la narrazione extra-diegetica.
Come potete vedere, i trucchi del cinema trascendono le magie del digitale.