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Vizio di forma – La recensione del nuovo film di Paul Thomas Anderson

Pubblicato il 23 febbraio 2015 di Lorenzo Pedrazzi

Un detective privato, una donna, un intrigo da risolvere: non è certo un caso che Thomas Pynchon, per il suo romanzo apparentemente più “commerciale”, abbia scelto di affidarsi agli archetipi basilari del racconto noir, riproposti da Paul Thomas Anderson in questa febbricitante trasposizione che si confonde dietro a nebbie lisergiche, accompagnata da una voce narrante – quella di Sortilège – che tesse il destino dei personaggi mentre cita congiunzioni astrali e influssi celesti. Vizio di forma è un noir allucinato, una detective story sfumata nell’assurdo, eppure lucidissima e mai delirante. La storia dell’investigatore Doc Sportello, che trascorre le sue giornate nell’indolenza del fumo e del caldo losangelino, si ramifica ben oltre la sua vicenda personale, imponendosi come il ritratto di un luogo e di un’epoca ben precisi: la California del 1970, dove il tramonto dell’utopia hippy coincide con l’assorbimento dei suoi valori primari – la rivoluzione sessuale, la musica rock, la spiritualità intimista – all’interno del pensiero istituzionale, che li addomestica per il consumo di massa.

Vizio di forma - Foto dal film con Waterston e Phoenix

In effetti, quando la sua ex fidanzata Shasta Fay Hepworth si rivolge a lui per indagare sulla scomparsa del palazzinaro Mickey Wolfmann, Doc mette in luce un complotto che coinvolge FBI, nerboruti neonazisti e cliniche odontoiatriche che alimentano il mercato dell’eroina, mentre la sua vecchia nemesi Christian “Bigfoot” Bjornsen, rude poliziotto frustrato da irrealizzabili chimere attoriali, gli sta sempre col fiato sul collo. Ne deriva un intreccio molto complesso, troppo involuto e contorto per decifrarlo nella sua interezza (lo stesso effetto che suscita Il grande sonno), ma dotato di un’irresistibile forza centripeta, in grado di spingerci progressivamente verso il nucleo della storia. D’altra parte, ciò che conta non è la trama in se stessa, bensì la celebrazione nostalgica di una generazione che – come sottolinea Philip K. Dick nelle note finali di Un oscuro scrutare, straziante allegoria della medesima epoca – “voleva divertirsi, ma si comportò come quei bambini che giocano per strada, che per quanto possano vedere come ciascuno di loro, uno dopo l’altro, rimanga ucciso, travolto, mutilato, annientato, non per questo smettono di giocare”. La loro parabola autodistruttiva è parzialmente mitigata dai dialoghi brillanti e dall’ironia bizzarra di molte situazioni paradossali (che richiamano i toni del delizioso Punch Drunk Love), ma anche dalle sfumature di romanticismo in cui trovano rifugio sia Doc Sportello sia il sassofonista Coy Harlingen, forse l’unico destinatario di una felicità completa e appagante.

Vizio di Forma Foto Dal Film 02

Di fronte a questi personaggi stralunati, Anderson ritrova quella sfiducia nelle istituzioni politico-sociali che caratterizzava già gli “eroi” di There Will Be Blood e The Master, ma che in Vizio di forma si contrappone al cinismo utilitaristico della morale dominante, sublimandosi poi in una solidarietà genuina e disinteressata. Lo smarrimento di questi fattoni derelitti, sognatori e perdigiorno, idealisti e visionari, sbatte il muso contro la serietà mummificata dei passacarte governativi, gelidi reazionari che promuovono lo sfruttamento economico della disperazione. Nel nuovo mondo di Nixon, anche il crimine assume una forma asettica e imprenditoriale.

Vizio di Forma Foto Dal Film 06

La matrice letteraria risulta evidente nella successione di sequenze dialogiche che strutturano il film dall’inizio alla fine, dove la precisione dell’adattamento (molto fedele e accurato, con alcuni tagli inevitabili ma non traumatici) si accompagna a un notevole rigore formale, privo del virtuosismo degli esordi, ma attentissimo a imprigionare lo strepitoso Joaquin Phoenix e gli altri attori all’interno di lunghe inquadrature senza stacchi, che valorizzano il contesto ambientale e la prossemica dei corpi. Il vertice estetico e narrativo, in tal senso, coincide con un raffinato long take che racchiude Doc e Shasta in una ripresa interminabile, a camera fissa, dissolvendone le voci e i movimenti nell’estasi del fumo: il loro rapporto assume una centralità maggiore rispetto al romanzo, preannunciando un epilogo di grande introspezione emotiva, cullato dalle note di Jonny Greenwood in un clima sospeso, irreale, «quasi come trovarsi sott’acqua». È il liquido amniotico di un’era che si avvia al termine, pronta a lasciare spazio a una stagione più asciutta, pragmatica e meno sognante.
Da affrontare insieme, se possibile.

Vizio di forma è uscito nelle sale italiane il 26 febbraio, distribuito da Warner Bros. Troverete ulteriori informazioni sul film nella scheda sul sito della Warner. ‪#‎VizioDiForma