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Berlinale 2015 – Life, la recensione del film con Dane DeHaan e Robert Pattinson

Pubblicato il 11 febbraio 2015 di Andrea D'Addio

“Non l’ho trattato come un film biografico” così, “per difetto”, il regista Anton Corbijn definisce il suo ultimo lavoro, Life, storia dell’incontro e dell’amicizia tra James Dean ed il fotografo Dennis Stock, nata prima che l’attore di Gioventù Bruciata diventasse l’idolo di una generazione. Fu un rapporto strano, non certo paritario tra i due, da una parte un ventiquattrenne che evitava il più possibile la fama e le regole dello star system degli anni ‘50, dall’altra un fotografo che voleva vedere riconosciuto il proprio talento tanto da sottostare a tutte le false promesse del primo pur di realizzare un portfolio di scatti originale ed inedito. Trovare il punto di incontro tra i due non fu facile, ma accadde e testimone ne sono alcuni dei più bei ritratti di Dean giunti fino ai giorni nostri.

Tra tutti i registi contemporanei Anton Corbijn era forse sulla carta la persona più adatta dirigere un film del genere. Lui, nato fotografo di star (soprattutto musicali, ma non solo), negli ultimi anni si è dedicato al cinema con un discreto successo, peraltro esordendo con un’altra storia “vera”, quella di Ian Curtis, leader dei Joy Division. Capire l’ambizione di Stock e ricreare quell’aurea da leggenda attorno ad un personaggio come James Dean non era un compito semplice. Da questo punto di vista il regista olandese riesce solo in uno dei due intenti, ovvero la rappresentazione di Dean. E la ragione principale risiede soprattutto nella scelta di farlo interpretare dal bravissimo Dane DeHaan, astro nascente del cinema a stelle e strisce, appositamente ingrassato per l’occasione. Dall’altra parte Robert Pattinson, sia a causa di un copione abbastanza banale che per suoi limiti personali (purtroppo ogni espressione che fa ricorda in qualche modo Twilight e così si finisce con il non credergli mai, nonostante sia indubbia la sua dedizione), non dà particolare credibilità alle aspirazioni del suo personaggio.

È un peccato, soprattutto perché il film dovrebbe essere trainato da lui mentre si arena in dialoghi e scene di vita quotidiana ridondanti e senza stratificazioni. Tutto è come appare. Dean era un capriccioso dal cuore d’oro e Stock un frustrato di talento che ce la mette tutta. Non sembra abbastanza per costruirci intorno un film almeno non se non si ha poi voglia di scavare o di costruire drammaturgicamente qualche conflitto in più. Nota a margine per Alessandra Mastronardi, perfetta nella piccola, ma importante parte di Pier Angeli, fidanzata di Dean nei primi anni ‘50. Il suo accento americano è perfetto ed il suo personaggio credibile tanto che viene voglia di vederla impegnata più spesso in produzioni internazionali.

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