L’hanno denominata la “trilogia dell’esistenza”, ma poiché Malick non rilascia interviste da decenni (di lui in pubblico si ricorda solo un incontro al Festival di Roma con Mario Sesti nel 2007) non si può dire che con Knight of Cups il cineasta americano abbia chiuso un ciclo iniziato con Tree of Life e continuato con To the wonder. Certo è che al momento ha presentato ogni pellicola in un festival europeo diverso, Cannes, Venezia e ora Berlino.
Le caratteristiche di questo ultimo Malick sono ormai distinguibili sia dal punto di vista strutturale che contenutistico. da una parte voce fuori campo, quasi totale assenza di dialoghi (inteso come colloquio tra due persone), continui campi lunghi e personaggi inquadrati di spalle o a tre quarti, dall’altra “trama” che ruota attorno all’essenza stessa della vita declinata in alcuni dei suoi aspetti principali, famiglia, amore e, in quest’ultimo caso, aspirazioni personali. “Sono la persona che volevo essere? Sto andando nella direzione giusta?” si chiede continuamente Rick, sceneggiatore che vive a Los Angeles passando di relazione in relazione, ma senza mai trovare un punto fisso nella vita, un modello su cui plasmare presente e futuro conscio che non sia una perdita di tempo.
È un film da vedere o da consigliare? Sì e no. Tanto sono belle le immagini (foto in movimento che potrebbero essere proiettate in loop senza necessità di avere un significato particolare) e i corpi degli attori (Malick ha scelto una serie di attrici di eccezionale fascino, da Freida Pinto a Natalie Portman, da Cate Blanchett a Imogen Poots), quanto Malick non sviluppa i suoi pensieri, ma si limita a ripeterli per due ore ad libitum. Può piacere se ci si lascia prendere per mano e portare su tempi e dimensioni che esulano dal nostro quotidiano tran tran, come una passeggiata fatta da soli senza particolare ragioni, solamente per fare respirare i nostri pensieri su temi e domande che non ci poniamo da tempo. Knight of cups non è un film per viaggaire sul cinema in luoghi e persone che ci dovrebbero appassionare, non utilizza l’estero per darci “svago”, ma per portarci dentro noi stessi a porci le stesse domande del suo protagonista. Noioso? Forse, dipende da ogni spettatore. Certo è che è uno di quei film così ambiziosi che non si può non rimanerne affascinati, Malick è ambizioso e per quanto lo faccia ormai in maniera un po’ ripetitiva, è bello continuare ad avere la consapevolezza che al mondo ci sia una persona come lui, qualcuno che non ha paura a guardare così in alto.
ScreenWEEK è a Berlino per partecipare alla 65esima edizione del Festival. Seguiteci anche su Facebook e Twitter per tutte le novità e le recensioni dalla capitale tedesca.