Sulla ABC ha debuttato Agent Carter, nuovo prodotto televisivo dei Marvel Studios, che sostituisce Agents of S.H.I.E.L.D. durante la pausa invernale. Prepariamoci a seguire le avventure di Peggy Carter (Hayley Atwell) nel secondo dopoguerra, prima dell’avvento dello S.H.I.E.L.D. e dei Vendicatori…
Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER.
1946. Peggy Carter (Hayley Atwell) condivide un piccolo appartamento a New York con la dolce Colleen (Ashley Hinshaw), che la crede impiegata in una società telefonica. In realtà, Peggy è un’agente dello Strategic Scientific Reserve, eroina del controspionaggio durante la Seconda Guerra Mondiale, e ha vissuto una breve ma intensa liaison con lo scomparso Capitan America, precipitato sui ghiacci antartici per salvare il paese dall’attacco nucleare del Teschio Rosso. Peggy soffre ancora per la perdita, e spesso rimembra le ultime parole che si sono scambiati.
Purtroppo, i suoi colleghi dell’S.S.R. non la prendono sul serio, e la trattano come una segretaria: le fanno portare il caffè e compilare le scartoffie, senza risparmiarle odiose frecciatine sessiste. L’unico che la rispetta è l’agente Daniel Sousa (Enver Gjokaj), costretto a sorreggersi con una stampella a causa di una ferita di guerra, mentre il capo Roger Dooley (Shea Whigham) e l’agente Jack Thompson (Chad Michael Murray) non sono molto diversi dagli altri.
In ogni caso, l’agenzia è in fermento perché Howard Stark (Dominic Cooper) è stato accusato di vendere le sue tecnologie ai nemici dell’America, e ora risulta introvabile. Sarà lui a farsi vivo con Peggy: le racconta che qualcuno ha rubato tutti i suoi prototipi dal caveau, e ha bisogno di aiuto per catturare il colpevole e ripulire il suo nome. Peggy, consapevole che dovrà agire clandestinamente, accetta, e Howard parte per l’Europa per seguire una pista. Il suo maggiordomo Jarvis (James D’Arcy) rimane a disposizione di Peggy per aiutarla, ma la loro prima missione si preannuncia molto difficile: devono recuperare un carico di Nitromene, una sostanza sintetizzata da Stark, in grado di far implodere un intero edificio nel giro di venti secondi. Braccata da un misterioso killer muto, Peggy passa all’azione…
Mentre assemblano un universo narrativo coeso e tentacolare, i Marvel Studios toccano una notevole varietà di piani temporali (passato e presente), mediatici (cinema, televisione, on-line) e spaziali (la Terra, il cosmo, le realtà parallele), ramificando le proprie storie su ognuna di queste dimensioni per garantire un solido legame di causa-effetto tra i molti eventi che si susseguono al loro interno. Agent Carter risponde alla medesima esigenza: tornando al passato, la Marvel ha l’opportunità di rivisitare le origini del suo mondo supereroistico, rafforzandone le basi e stabilendo ulteriori connessioni con gli altri franchise, in particolare Agents of S.H.I.E.L.D., che condivide lo stesso network e la stessa posizione sul palinsesto americano (di fatto, Agent Carter funziona come un rimpiazzo “di lusso”, utile per rifiatare senza perdere la fidelizzazione del pubblico). Al contempo, però, si tratta anche del primo franchise Marvel con una protagonista femminile, e la Peggy Carter di Hayley Atwell si presta benissimo a tale ruolo. Gli sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely ne fanno un emblema di “protofemminismo”, e delineano un contesto sociale di repressione sessista, dove il livello di scherno è talmente smaccato da risultare quasi grottesco. D’altra parte, Peggy è immersa in una sfera lavorativa dominata dagli uomini, non solo come percentuale fisica, ma anche per lo spirito di solidarietà goliardica e virile che aleggia tra i colleghi: l’unico agente che le dimostra stima e rispetto, non a caso, è proprio Daniel Sousa, menomato e quindi emarginato, esattamente come lei.
Costretta ad agire clandestinamente, Peggy dimostra di avere molto più talento e arguzia dei suoi colleghi uomini, che restano sempre dieci passi dietro di lei. La realtà dei fatti stride però con la sua rappresentazione, contraddicendo stereotipi e convenzioni sociali: si nota in particolar modo nel divertente show radiofonico The Captain American Adventure Hour, ispirato alla Golden Age della radio americana, che caratterizza la stessa Peggy – attraverso il suo alter ego Betty Carver – come una damigella sensuale, indifesa e sempre in pericolo, la cui esistenza e salvezza sono indissolubilmente legate all’eroismo di Capitan America. Di fronte a questo scenario degradante, Peggy assurge a modello di autonomia ed emancipazione, rivendicando il diritto di perseguire obiettivi personali che esulino dall’amore e dalla famiglia (scopo primario di ogni “signorina perbene”). Al di là di questo, però, Agent Carter è soprattutto un prodotto d’avventura che si ammanta di fascino “retrofuturistico”, unendo humour, fantascienza e atmosfere post-belliche in una fotografia piacevolmente oleosa, sfumata, che restituisce con efficacia l’immaginario patinato dell’epoca, giocando inoltre sui contrasti cromatici fra gli abiti della protagonista e il grigiore dei completi maschili. Il ritmo tiene bene per tutto il corso della premiere, dove Peggy si scatena in mirabolanti scene d’azione (soprattutto il combattimento contro il killer muto sul tetto di un furgone in corsa), e Hayley Atwell dimostra le sue doti da trasformista in termini sia mimetici sia vocali (poiché spesso deve mascherare il suo accento inglese).
Non mancano i riferimenti all’universo Marvel (ad esempio nella figura di Anton Vanko, padre di Whiplash), ma lo show si avvicina più alle dinamiche dello spionaggio che a quelle dei supereroi. Trattandosi di una miniserie da sette episodi, il racconto è impostato sulla continuità narrativa, con una struttura orizzontale che si focalizza su un’unica trama; curiosamente, però, l’avvio della storia ricorda quello di Agents of S.H.I.E.L.D.: c’è una forza misteriosa che agisce nell’ombra (là era il Chiaroveggente, qui il Leviatano), e che probabilmente si rivelerà essere un supercattivo estrapolato dai fumetti, come avevano suggerito gli stessi sceneggiatori tempo fa.
Insomma, un inizio promettente, soprattutto se consideriamo i vantaggi della narrazione chiusa: Agent Carter è come un unico lungo film, e le sue domande non dovrebbero tardare a ricevere una risposta.
La citazione: «Howard, mi stai chiedendo di diventare una traditrice per dimostrare che tu non lo sei: cogli l’ironia?»
Ho apprezzato: la caratterizzazione di Peggy; l’interpretazione di Hayley Atwell; i riferimenti all’immaginario dell’epoca; il buon ritmo narrativo; i contrasti fra Peggy e il clima sessista che la circonda.
Non ho apprezzato: nulla di rilevante.
Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi di Agent Carter sul nostro Episode39 a questo LINK.