Gentlemen di Mikael Marcimain (sezione Torino 32)
Ai ferri corti con il mondo, il giovane scrittore Klas Östergren si nasconde nel suo appartamento di Stoccolma per raccontare la storia delle persone che lì hanno soggiornato, condividendo con lui alterne fortune. Prima Henry Morgan, pugile, barista e pianista jazz dai modi ineffabili, amante della bella vita ma con un segreto nascosto, un amore misterioso che lo tormenta: e poi Leo, fratello di Henry, agitatore politico e poeta dal bicchiere facile, il cui arrivo nella casa ha trascinato tutti nei guai, a causa di un traffico d’armi in cui è coinvolta la malavita.
Il regista svedese Mikael Marcimain torna al Torino Film Festival, sempre in concorso. Nel 2012 aveva presentato Call Girl, il suo esordio al lungometraggio, quest’anno torna con Gentleman, un’opera particolarmente ambiziosa ma, purtroppo, non del tutto riuscita. Se da un lato, infatti, Marcimain conferma ancora una volta un’indiscutibile gusto per la messa in scena e una regia impeccabile dal retrogusto americano, dall’altro sembra cadere volontariamente nel difetto che aveva caratterizzato la sua prima opera: un’eccessiva lunghezza, che inevitabilmente si risolve in più momenti di calo. A questo si aggiunge una trama particolarmente intricata, dove si susseguono molteplici storie. La sensazione non è di guardare un solo film, ma almeno tre pellicole contemporaneamente e per quanto possa risultare suggestivo e affascinante quello che si prova una volta giunti i titoli di coda è una grande confusione. Ciononostante ci troviamo di fronte ad un’opera di gran classe, anche in questo caso.
Big Significant Things di Bryan Reisberg (sezione Torino 32)
Craig ha ventisei anni ed è in viaggio verso il Sud degli Stati Uniti alla ricerca delle «cose più grosse al mondo». Dal tronco con la circonferenza più larga, alla sedia a dondolo più alta di una casa, quando Craig si imbatte in una attrattiva da guinness dei primati la fotografa e si ferma a chiacchierare con la gente del posto. La sua vita, inoltre, sembra tutta in discesa: di lì a una settimana si trasferirà a San Francisco con la fidanzata e insieme i due compreranno casa. Ma perché, allora, al telefono con lei Craig finge di essere al lavoro?
Harry Lloyd (visto in Game of Thrones) è il protagonista di una storia “on the road” che presenta tutte le caratteristiche del cinema indipendente americano. Si (sor)ride, si riflette e, soprattutto non ci si annoia. Non sarà un’opera destinata a lasciare il segno, ma l’esordio al lungometraggio di Bryan Reisberg è in grado di coinvolgere ed emozionare in più di un momento. E lo fa parlando di piccole grandi cose.
’71 di Yann Demange (sezione Festa Mobile)
Belfast, 1971. L’Irlanda del Nord è insanguinata dalla guerra civile tra cattolici indipendentisti e protestanti filobritannici, che si combattono a suon di attentati e sparatorie, a cui partecipano unità paramilitari, bande di irregolari e di criminali. Tra i soldati di Sua Maestà impiegati per le strade della capitale irlandese c’è la recluta Gary. Quando, durante un combattimento, si trova solo e sperduto tra le linee nemiche, ha inizio per lui una notte da incubo, in cui dovrà fronteggiare in prima persona il terrore e l’angoscia nati dall’odio fratricida.
A proposito del suo film Yann Demange ha detto: «Quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta, molte immagini mi sono venute in mente, immagini di film come I guerrieri della notte di Walter Hill o 1997: fuga da New York di John Carpenter. Anche una scena incredibile dell’Armata degli eroi in cui viene ucciso un collaborazionista. Ho rubato idee da un sacco di film…». Una cosa innegabile, ma è anche vero che nell’orchestrare questo gioco di citazioni il regista non si è semplicemente limitato a copiare: ha attinto da più fonti, per dare vita ad un’opera potentissima e in grado di provocare una fortissima empatia. Anche se contestualizzato nel periodo e nel territorio, il mondo da lui descritto e quello di ogni conflitto, in grado di portare allo scoperto i lati più estremi di ognuno di noi.
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