Sin City – Una donna per cui uccidere: la recensione dell’atteso sequel dagli albi di Frank Miller

Sin City – Una donna per cui uccidere: la recensione dell’atteso sequel dagli albi di Frank Miller

Di laura.c

Sin City A Dame To Kill

Un mondo in cui la luce non è mai veramente luce, ma un’ombra che si stacca dal buio, dove i colori si concedono con parsimonia allo sguardo, comparendo a sprazzi e completamente saturi, per assicurarsi di non lasciare scampo allo sguardo dello spettatore e farsi ammirare in tutta la loro potenza. Va bene considerare l’aderenza agli albi originali, lo spessore dei personaggi, l’evoluzione rispetto al primo film ecc. Ma la verità è che tonare a Sin City è sempre un piacere, e possiamo confermare che lo è anche con l’aggiunta del 3D, usato in modo intelligente da Robert Rodriguez per immergere ancora di più l’occhio nel vortice delle immagini nate dalla matita di Frank Miller. Nonostante non brilli per originalità e per struttura del racconto,  Sin City – Una donna per cui uccidere resta un’avvolgente esperienza estetica e una prova di stile di cui vale la pena godere, fosse solo per riassaggiare l’atmosfera nera della meravigliosa opera a fumetti da cui è tratto. Secondo capitolo della saga cominciata quasi dieci anni fa con il primo Sin City, il nuovo film riprende storie e personaggi del precedente, mischiando senza troppi complimenti prequel e sequel, o mostrando anche avvenimenti in contemporanea alle vicende raccontate nei precedenti episodi. Nella Città del Peccato anche il tempo è una regola che si può infrangere con un bel cazzotto o un colpo di pistola, così come lo spazio fisico e mentale si confondono in un abbraccio sensuale circondato, come sempre, da una notte e un buio infinito.

Sin City 2

 

Mettendo da parte la bellezza delle immagini e passando alla storia, il film prende il nome da Una donna per cui uccidere (A Dame To Kill For), episodio cronologicamente precedente nella vita di Dwight McCarthy (in passato Clive Owen, qui interpretato invece da Josh Brolin), che racconta come l’uomo sia arrivato a mettersi a servizio delle prostitute della Città Vecchia. Solitario e perennemente inquieto per una natura violenta che tenta di reprimere, Dwight viene gettato nell’abisso dall’incontro con la sua bellissima ex, Ava Lord (una ben poco vestita Eva Green). Ormai moglie di un riccone di Sin City, seguita costantemente da un letale scagnozzo, Ava, seducendolo ancora una volta, gli chiederà  aiuto per sottrarsi alle perversioni del facoltoso marito. Paradossalmente, questo è proprio l’episodio meno interessante e meno coinvolgente del film, un po’ per la struttura ripetitiva (non si sa quante volte vediamo Josh Brolin cadere malmenato da qualche finestra) un po’ per la prevedibilità dei personaggi. L’avvenente femme fatale di Eva Green è infatti “disegnata” per essere uno stereotipo ambulante, Rodriguez lo sa e non ne fa mistero, descrivendo spesso le sue “trappole per uomini” con grottesca ironia. Lo stesso vale per l’annullamento intellettivo che la sua avvenenza produce su Dwight, con esiti piuttosto scontati dal punto di vista della storia. Eppure anche in questa mancanza di complessità “scritta”, il regista riesce a dare un tocco di profondità meno visibile e scontato: basta guardare ad esempio all’uso della nudità, molto diverso per i personaggi femminili e maschili, o al modo in cui viene descritta la caduta di Ava, in fin dei conti vittima dell’amore come qualsiasi donna che sbaglia il momento e la persona cui mostrare il fianco e la propria fragilità.

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Portato avanti in modo più rapido, ma senza sbavature, l’episodio di Joseph Gordon Levitt, Quella lunga, brutta notte (The Long Bad Night), dedicato alla lotta sul tavolo da poker di un giovane e abilissimo giocatore d’azzardo contro il perfido Senatore Roark, una delle anime più marcie della città.  Qui lo scontro è più sottile, il protagonista molto più misterioso, il male più sibillino, la vittoria ancora più amara. La scrittura insomma fa il 90% del lavoro, aiutata anche dalla carismatica performance di Joseph Gordon Levitt, sempre più ponto per un vero ruolo eroico da assoluto protagonista.

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Soprassediamo sul breve Solo un altro sabato sera (Just Another Saturday Night), che serve giusto per lasciare all’immancabile e splendido Marv (Mickey Rourke) la possibilità di reintrodurci alla Città del Peccato e al suo affascinante vuoto di sentimenti e anima. Tutt’altra storia rispetto a La grossa sconfitta (The Fat Loss), regno di una splendida Nancy (Jessica Alba) e del suo percorso interiore per trasformarsi da spogliarellista ubriacona in angelo della vendetta del suo poliziotto, John Hartigan (Bruce Willis), morto nel film precedente.

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Riassumendo, nonostante alcune facilonerie nella trama, nonostante non aspiri ad aggiungere molto all’opera originale di Frank Miller, Sin City – Una donna per cui uccidere ci sembra non solo un raro esempio di buon noir cinematografico, ma anche un film capace di giocare con gli stereotipi di genere da cui attinge e soprattutto di trasmettere l’impronta di Robert Rodriguez. Come in Machete, tanto per fare un esempio, anche qui il regista ha l’incredibile capacità di caricare di umanità e di significati piuttosto profondi personaggi che, in apparenza, sembrerebbero delle perfette macchiette.   E considerando che questa sua abilità si applica spesso e volentieri alle figure femminili, in Sin City c’è di che abbondare.

SIN CITY 3D  Una Donna Per Cui Uccidere   Clip   Fermo  pervertito    YouTube

Il film arriva oggi nelle sale italiane. Per maggiori informazioni potete consultare le nostre News dal BlogQUI invece trovate la pagina facebook italiana.

 

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