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Masters of Sex, la recensione dell’ottavo episodio: Mirror, Mirror

Pubblicato il 03 settembre 2014 di Lorenzo Pedrazzi

Mirror, Mirror, ottavo episodio della seconda stagione di Masters of Sex, porta la ricerca di William Masters (Michael Sheen) e Virginia Johnson (Lizzy Caplan) su un nuovo livello, non più solo analitico ma anche terapeutico…

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

William (Michael Sheen) è a pranzo con suo fratello Frank (Christian Borle), che non vede da anni, e che si è fatto sei ore di macchina da Kansas City per riallacciare i rapporti. Inoltre, lui e sua moglie non riescono a concepire un bambino, e vogliono che sia proprio Bill a occuparsi del trattamento per la fertilità. Seppur recalcitrante, Bill accetta, e li accoglie nel suo studio medico alla mattina presto. Virginia (Lizzy Caplan) e Betty (Annaleigh Ashford) si accorgono che c’è qualcosa di strano in lui, ma non sanno che le sue difficoltà hanno una doppia origine: da un lato, Bill vuole mantenere il riserbo sull’arrivo di Frank, e dall’altro continua a essere tormentato da problemi d’impotenza. La sua curiosità si accende quando Virginia suggerisce di estendere la loro ricerca anche ai soggetti con disfunzioni sessuali (impotenza, vaginismo, eiaculazione precoce o ritardata), studiando terapie o altri interventi per curarle. Lo stesso Lester (Kevin Christy), peraltro, confessa di soffrire d’impotenza da quando la sua ragazza lo ha lasciato per un produttore hollywoodiano, e Bill decide che è arrivato il momento di attribuirgli il giusto riconoscimento per il suo lavoro, dato che lui resta sempre invisibile dietro alla macchina da presa: gli chiede di sedersi davanti all’obiettivo e di raccontare quale ruolo svolge all’interno della ricerca, la cui portata innovativa è per lui di grande ispirazione.
Intanto, però, Bill e Virginia hanno bisogno che il capo della polizia entri nel consiglio d’amministrazione della clinica, in modo da renderla esente dal pagamento delle tasse. Per convincerlo, Libby (Caitlin FitzGerald) accetta di aiutare sua moglie a procacciare nuovi fondi per la cerimonia del Veiled Prophet Ball, e riesce a raccogliere ben trecento dollari: come risultato, spinto dalla moglie, l’uomo acconsente a entrare nel consiglio d’amministrazione. Parallelamente, Libby viene ricontattata da Robert (Jocko Sims), il fratello di Coral, che le chiede di testimoniare in un caso di aggressione a sfondo razziale, a cui lei ha assistito in prima persona. All’inizio rifiuta, ma in seguito ci ripensa e decide di aiutare la vittima.
Virginia, dal canto suo, tenta di aiutare Barbara Sanderson (Betsy Brandt) a superare i suoi problemi di vaginismo, e scopre che la loro origine è psicologica, poiché affonda le radici nei giochi sessuali che la donna faceva con suo fratello quando erano piccoli. Con l’aiuto di Bill, le fissa un appuntamento presso lo psicologo più importante di St. Louis, ma Barbara non ha alcuna intenzione di svelare la sua intimità a un estraneo, soprattutto un uomo… così, Virginia pensa bene di andarci al posto suo, fingendo di essere lei. Inoltre, decide di riprendere gli studi per specializzarsi in psicologia. Bill, nel frattempo, continua a inventare scuse per evitare i rapporti sessuali, mentre suo fratello mette in chiaro che non vuole nessun altro dottore come medico curante: la sua intenzione, infatti, è di restaurare il loro antico legame.

Quante fratture si celano nel passato di Bill Masters, e quanti segreti ne avvelenano il cuore? In ogni episodio di Masters of Sex affiora un nuovo trauma, rafforzando le fondamenta del suo carattere irrequieto, insoddisfatto e sostanzialmente nevrotico, colmo di aggressività passiva. La sua proverbiale riservatezza lo spinge a tenere nascosta la vera identità di Frank, anche se il fratello, al termine dell’episodio, decide di tendergli la mano per ricostruire un sano rapporto familiare («I want my brother back» gli dice in un sussurro): se Bill sceglierà o meno di stringere quella mano, non ci è ancora possibile saperlo. Di certo, però, questo conflitto va ad aggiungersi al problema fisico che lo tormenta, l’impotenza. Costantemente in preda a un silenzioso delirio egotistico, Bill non è in grado di ammettere la sua disfunzione, allo stesso modo in cui non riesce a confessare – nemmeno a suo fratello, che soffre dello stesso disturbo – di avere una conta degli spermatozoi piuttosto bassa, da cui traggono origine le sue difficoltà nel concepimento. Si tratta di problemi che lo stesso Bill considera demascolinizzanti, in linea con un ambiente storico-sociale che ancora venera il mito della virilità, e attribusce il marchio dell’infamia – sotto forma di debolezza e scarsa mascolinità – a chiunque ammetta di soffrirne. Michael Sheen è bravo a lasciar trasparire la curiosità del suo personaggio – e i suoi tentativi di mascherarla – ogni volta che l’argomento entra nella conversazione, e la sceneggiatura inanella alcune sequenze di dialogo molto efficaci, oscillanti fra l’ironia e l’intimismo, come nel montaggio alternato in cui Lester e Barbara raccontano le loro disfunzioni sessuali a Bill e Virginia. Quest’ultima, fra l’altro, prosegue la costruzione della sua identità professionale, e conferma la portata innovativa delle sue idee. Se è vero che i personaggi femminili sono l’avanguardia del cambiamento, Virginia ne incarna l’emblema: non solo suggerisce di estendere la ricerca nel campo delle disfunzioni, ma propone di affrontarle anche da una prospettiva psicologica, pur scontrandosi con le solite rimostranze di Bill, che in tal senso è più conservatore. Anche lui, però, è capace di aperture inaspettatamente “empatiche”: c’è qualcosa di tenero nella solidarietà che scorre tra lui e Lester, due uomini gravati dal medesimo disturbo, e questo sentimento latente diventa palese quando Bill decide di mettere l’operatore – per la prima volta nella sua vita – al centro della scena, riconoscendo il suo contributo nella ricerca. Non più abbagliato dalle luci di Hollywood (dove «producono sempre le solite storie»), Lester ha ormai trovato la sua fonte d’ispirazione in Bill e Virginia, ed è orgoglioso di poter documentare il loro lavoro.

In tale contesto, Libby recupera improvvisamente credibilità. L’evoluzione del suo personaggio suscita però alcuni dubbi, poiché soggetto a una caratterizzazione ondivaga e volubile: dopo la sua recente metamorfosi in figura odiosa e pregiudizievole, ora pare assumere nuovamente una personalità dolce e di più ampie vedute, disposta a scalfire la sua rigida natura wasp per aiutare la comunità afroamericana. Queste sottotrame dimostrano le notevoli ambizioni di Masters of Sex, che aspira a ritrarre un’intera epoca nella varietà dei suoi conflitti etnici e sociali, definendone la vera identità attraverso i pregiudizi e le lotte intestine che si agitano dietro all’ipocrisia perbenista della classe media. In fondo, le implicazioni della sessualità si estendono ben oltre i confini del talamo nuziale (o dei sedili ribaltabili di un’automobile), e i personaggi della serie ne portano le cicatrici in ogni risvolto della loro vita quotidiana.

La citazione: «A Hollywood producono sempre le solite storie: il western con il fuorilegge dal cuore d’oro, il film di mostri dove nessuno dà retta allo scienziato finché non è troppo tardi… ma qui, in questo laboratorio, quello che fate ogni giorno è completamente nuovo.»

Ho apprezzato: la curiosità “mascherata” di Bill; Lester davanti alla macchina da presa; il costante slancio innovatore di Virginia; il ritratto d’epoca.

Non ho apprezzato: la caratterizzazione troppo mutevole di Libby.

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