La recensione del cross-over tra I Griffin e I Simpson: The Simpsons Guy

La recensione del cross-over tra I Griffin e I Simpson: The Simpsons Guy

Di Lorenzo Pedrazzi

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La tredicesima stagione de I Griffin si apre con un evento memorabile nell’ambito dell’animazione seriale: l’attesissimo cross-over con I Simpson! Le creature di Seth MacFarlane e Matt Groening collidono in un folle episodio da quaranta minuti, intitolato The Simpsons Guy

Attenzione: l’articolo contiene SPOILER.

Peter Griffin si reinventa come vignettista per il giornale di Quahog, e i suoi lavori hanno un certo successo… almeno finché non propone alcune vignette apertamente misogine. Avversato dai blogger e da tutte le donne della città, che circondano casa sua con intenti poco pacifici, Peter è costretto a fuggire insieme alla sua famiglia e, dopo una notte di viaggio, raggiunge una stazione di servizio dove la loro auto viene rubata. A piedi, senza denaro, i Griffin camminano fino alla città più vicina, Springfield, all’interno di uno stato imprecisato («Posso immaginare che non ci sia permesso rivelarlo» dice Brian).
Mentre vagano per le strade di Springfield, s’imbattono nel Jet Market di Apu, ma non hanno soldi nemmeno per qualche ciambella. Fortuna che un simpatico autoctono, Homer Simpson, si offre di pagarle per loro, e poi li ospita in casa sua. I Griffin conoscono così sua moglie Marge, i suoi figli Bart, Lisa e Maggie, e Piccolo Aiutante di Babbo Natale, il cane di Bart, che Brian non riesce proprio a comprendere per il suo atteggiamenti… cagneschi. Lo porta anche a passeggio insieme a Chris, ma lo perde per strada. Intanto, Lisa prende a cuore il senso d’inadeguatezza di Meg, e s’impegna per farle scoprire il suo talento innato. Inizialmente sembra che Meg non ne abbia alcuno, ma poi si dimostra bravissima nel suonare il sassofono, persino più di Lisa! Stewie, dal canto suo, è affascinato dalla purezza naif di Bart, e cerca d’imitarlo nelle sue marachelle innocenti, nell’uso dello skatebord e della fionda. Ma quando Nelson assale il suo “mito” con un pugno allo stomaco, Stewie decide di punire il bullo: lo rapisce, lo lega nel garage dei Simpson e lo costringe a mangiare i suoi pantaloncini (dalla celebre espressione «Eat my shorts», che in italiano è sempre stata tradotta con «Ciucciati il calzino»).
Parallelamente, Homer e Peter elaborano piani assurdi per ritrovare l’auto di quest’ultimo (come un’autolavaggio gratis per macchine rubate), ma infine scoprono che è stata presa per errore da Hans l’Uomo Talpa, che travolge Peter davanti alla casa dei Simpson. Tutto sembra quindi volgere per il meglio, finché Peter, ospitato dalla taverna di Boe, non offre a Homer una bottiglia di Pawtucket Patriot Ale, la birra di Quahog. Dopo averla bevuta, Homer l’accusa di essere un’imitazione scadente della Duff, mentre Peter sostiene che sia stata soltanto ispirata dalla Duff, e che abbia preso una direzione diversa. Ma non c’è nulla da fare: l’etichetta della Pawtucket cela infatti il logo della Duff, e la diatriba finisce in tribunale, dove Fred Flintstones dichiara che il birrificio di Quahog – per cui lavora lo stesso Peter – dev’essere chiuso per infrazione del copyright.
Nonostante le due famiglie cerchino di lasciarsi in rapporti amichevoli, tra Homer e Peter scoppia una rissa che si protrae ai quattro angoli della città, e che li trasforma persino in due superuomini radioattivi dopo un’esposizione alle scorie della centrale nucleare. I due “patriarchi” si danno battaglia nei cieli e nello spazio, poi atterrano in un canyon nei dintorni di Springfield (quello che Homer, anni fa, tentò di saltare con lo skateboard). Sanguinanti, lacerati e tumefatti, i contendenti accettano infine le rispettive differenze, e trovano un accordo nel rispetto reciproco, seppure «a mezzora di distanza» l’uno dall’altro. I Griffin tornano quindi a Quahog, dove il birrificio rimane aperto perché nessuno di Springfield verrà mai nella loro città per applicare la decisione del giudice. Stewie, respinto da Bart per i suoi comportamenti maniacali, sostiene di non soffrire minimamente la separazione dal suo “mito”, che ora considera un perdente; ma, non appena sale in camera sua, lo vediamo scrivere ripetutamente sulla lavagna “Non penserò più a Bart”, scoppiando in lacrime.

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La definitiva resa dei conti tra I Griffin e I Simpson sfocia in un cross-over folle e debordante, come si addice allo spirito di due serie che fanno del parossismo la loro bandiera, talmente radicate nell’immaginario collettivo da aver influenzato usi, costumi e linguaggi dello spettatore medio. È però necessario sottolineare che The Simpsons Guy resta pur sempre un episodio dello show di Seth MacFarlane, dunque gli equilibri sono sbilanciati in favore della famiglia Griffin: Springfield è ritratta come una località “esotica” da visitare con sguardo straniato, mentre i Simpson, nel ruolo di comprimari, risultano un po’ sacrificati; a soffrirne è soprattutto la caratterizzazione di Bart, indebolita e “normalizzata” nel confronto con Stewie. In questo dualismo, peraltro, si cela una delle chiavi di lettura del cross-over: le marachelle di Bart – personaggio ispirato a Huckleberry Finn e Dennis la Minaccia – appaiono leggere e innocenti rispetto alle macchinazioni brutali, maniacali e contorte di Stewie, allo stesso modo in cui i Simpson sono “soltanto” una famiglia disfunzionale, mentre i Griffin sembrano veri e propri psicopatici. Analogamente, stando a quanto traspare dall’episodio, MacFarlane vanta di aver oltrepassato quei limiti che Matt Groening si sarebbe autoimposto, premendo con maggior decisione sull’umorismo surreale, sul cinismo e sul politicamente scorretto, e facendo apparire I Simpson come uno show all’acqua di rose. Ovviamente non è così: in quanto a satira sociale, la serie di Groening resta nettamente superiore, almeno nelle sue stagioni migliori, mentre I Griffin tendono a diluire la loro forza satirica – pur presente – nel citazionismo esasperato e nei frequenti ricorsi al nonsense, come accade nei famigerati e numerosissimi flashback (ridotti al minimo in questa puntata, anche se uno di essi merita la menzione, poiché comprende il cameo di Bob da Bob’s Burgers).

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Se le trame secondarie mostrano una certa debolezza (soprattutto quella con Brian e Chris, piuttosto insulsa), il cuore di The Simpsons Guy risiede nel rapporto tra Homer e Peter, gli emblemi dei rispettivi show, che scoprono una prevedibile affinità nella loro idiozia, nella generosità adiposa e nella passione per la birra. Ed è qui che s’innesca il più palese meccanismo metanarrativo del cross-over: la diatriba fra Pawtucket e Duff coagula tre lustri di rancori, frecciatine e accuse reciproche, sfruttando le due birre come incarnazione metaforica di entrambi gli show. I dialoghi, in tal senso, non nascondono l’intento metanarrativo:

Homer: «Questa birra ha lo stesso sapore della Duff. È solo un’imitazione scadente.»
Peter: «Ehi, Ehi, piano. Non è un’imitazione della Duff. Può anche essere stata ispirata dalla Duff, ma a me piace pensare che vada in un’altra direzione.

Oppure:

Homer: «La tua birra è in grossi guai! Non puoi applicare una nuova etichetta su una cosa e dire che è tua!»
Peter: «Beh, magari è la Duff che dovrebbe essere nei guai per, sai… non essere così grandiosa.
Homer: «Ah! La Duff è un’icona!»
Peter: «Sì, ma c’è gente che preferisce la Pawtucket Pat. Cioè, non fraintendermi, io adoravo la Duff quando ero più giovane, ma non la bevo da tredici anni.»

Quest’ultima frase è la stoccata finale: uno show ancora in salute (I Griffin) critica il suo modello di riferimento (I Simpson) per aver smarrito la brillantezza degli anni migliori, sacrificando gran parte della sua anima caustica. Lo scontro si risolve in un titanico combattimento tra Homer e Peter, più lungo e delirante rispetto a quello “leggendario” con il pollo, dove i due contendenti si trasformano addirittura in superuomini radioattivi per darsi battaglia – con echi di Matrix Revolutions e L’Uomo d’Acciaio – nei cieli e nello spazio, schiantando persino il disco volante degli alieni Kang e Kodos, accompagnati dal loro amico Roger di American Dad («Siamo andati al campo estivo insieme»). Dopo una sostanziale parità, la soluzione è obbligata:

Peter: «Senti, anche se non diventeremo migliori amici, io ti rispetto.»
Homer: «Altrettanto. Basta che decidiamo di restare a mezzora di distanza uno dall’altro.»
Peter: «Con un mucchio di spazzatura in mezzo.»

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Insomma, fra attestati di stima reciproca e una dichiarazione di pace che dovrebbe accontentare tutti, The Simpsons Guy svolge bene il suo compito e non delude le attese: ci frastorna con quaranta minuti di gag, camei, (auto)citazioni e inside joke, provocando risate genuine lungo tutto l’arco dell’episodio, e facendosi perdonare sia un paio di trame parallele poco riuscite (anche quella con Lisa e Meg ha poco mordente) sia qualche eccesso metanarrativo, in cui il giochino diventa sin troppo sfacciato. Ma stiamo parlando de I Griffin e I Simpson insieme, due universi che sarebbero potuti collassare su loro stessi, e che invece funzionano anche associati l’uno all’altro: solo questo basta per farli entrare nella leggenda.

La frase: «Evvai! Un cross-over tira fuori sempre il meglio da entrambi gli show. Di sicuro non è una mossa dettata dalla disperazione. La priorità è essere creativi, e non schiavi del marketing…»

Ho apprezzato: Griffin e Simpson INSIEME!; l’antefatto con Peter che diventa vignettista; le citazioni che attraversano la storia dei due show; i camei di Bob, Fred Flintstones e Roger; la buona qualità generale delle gag.

Non ho apprezzato: la trama con Brian, Chris e Piccolo Aiutante di Babbo Natale; la caratterizzazione di Bart.

Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi de I Griffin sul nostro Episode39 a questo LINK.

Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi de I Simpson sul nostro Episode39 a questo LINK.

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