Screenweek dal Giappone
Ritorna alla regia di un lungometraggio Ohata Hajime che nel 2010 aveva impressionato il mondo del film nipponico di genere con il suo horror Henge (Metamorfosi). Un lavoro ispirato al glorioso filone del tokusatsu eiga, ma che ne era anche una variante orrorifica contemporanea, tanto per il budget irrisorio con cui era stato girato che per la fantasia e l’inventiva che il regista era riuscito ad infondere nel suo lavoro. Le tematiche affrontate erano quelle già viste in moltissimi illustri predecessori, il mostruoso, l’amore verso l’altro/l’alieno, ma Henge era prima di tutto un film che voleva intrattenere spaventando e instillando paura, che giocava molto con i generi e con un’ottima colonna sonora.
Ora in questo 2014 il giovane regista (classe 1979), lanciato al Pia Film Festival del 2007, ha partecipato con un episodio all’omnibus americano ABCs of Death 2, un’antologia horror dove ampio spazio è lasciato ai cineasti per spaziare in lungo ed in largo nel genere. Al progetto hanno partecipato autori provenienti da culture cinematografiche le più distanti quali Vincenzo Natali (Cube, Splice), Dennison Ramalho, Jim Hosking e altri ancora per un totale di ventisei registi ed altrettanti “nuovi modi di morire”, come recita il sottotitolo del film.
Ebbene oltre che con questa opera internazionale Ohata ritorna sulle scene giapponesi con un lungometraggio horror, in uscita nelle sale del Sol Levante il venti settembre. Il titolo è Kataribe (racconta storie), è prodotto da Shimizu Takashi (Ju-on, Marebito, The Grudge) e nel ruolo di protagonista troviamo Inagawa Junji, una vera e propria leggenda nel mondo giapponese dell’horror. Raccontato come una sorta di meta film, la storia ci racconta proprio di Inagawa che interpreta sè stesso e che nell’aprile del 2013 si reca in un vecchio pachinko assieme ad un gruppo di ragazze per effettuare le riprese di un suo lavoro. Improvvisamente però cominciano ad accadere degli strani fatti che sconvolgeranno il gruppo di ragazze protagoniste del progetto di Inagawa. Dal trailer qui sotto si può chiaramente vedere come il film giochi molto sul binomio realtà-finzione, è girato cioè come fosse un documento vero con le immagini riprese da una piccola videocamera digitalee, una sorta di mokumentary insomma dove le protagoniste sono un “vero” idol group giapponese femminile.