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Game of Thrones, la recensione dell’ottavo episodio: The Mountain and the Viper

Pubblicato il 03 giugno 2014 di Lorenzo Pedrazzi

The Mountain and the Viper segna uno dei momenti più attesi dai fan di Game of Thrones: lo scontro fra Oberyn Martell e la Montagna, con in gioco non soltanto la vendetta di Oberyn, ma anche – e soprattutto – la vita di Tyrion

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

Jon Snow: la Città della Talpa viene razziata dai Bruti, che trucidano alcuni Guardiani della Notte presso il bordello, dove peraltro si nasconde anche Gilly con suo figlio. Ygritte li trova, ma decide di risparmiarli. Al Castello Nero, Sam è preoccupato per la sorte della ragazza e del bambino, mentre Jon sottolinea che Mance sta per avvicinarsi al castello con un esercito di centomila uomini.

Daenerys Targaryen: a Meereen, un bambino consegna a Barristan un documento che reca il perdono reale di Robert Baratheon a Jorah, dimostrando così che il cavaliere lavorava come spia per conto di Robert. Daenerys lo convoca per interrogarlo, ma ogni tentativo di spiegazione da parte di Jorah – che da tempo ha abbandonato la sua missione per esserle fedele – è inutile: dovrà lasciare Meereen immediatamente, o verrà giustiziato. Nel frattempo, affiora ulteriormente l’attrazione fra Missandei e Verme Grigio.

Theon Greyjoy: istruito da Ramsay Snow, Theon entra a Moat Calin per convincere gli Uomini di Ferro – che sarebbero suoi sudditi – ad arrendersi, poiché Roose Bolton è disposto a offrir loro un passaggio sicuro per tornare a Pyke. I soldati, stremati dalla malattia, accettano, ma l’offerta non è altro che un tranello: vengono infatti massacrati da Ramsay e dai suoi uomini, che conquistano la roccaforte. I Bolton diventano quindi i Protettori del Nord, e Roose, orgoglioso delle azioni del suo figlio bastardo, gli concede il suo cognome.

Sansa Stark: mentre Petyr Baelish è guardato con sospetto dai nobili della Valle di Arryn per la morte di Lysa, Sansa rivela la sua vera identità e testimonia in favore di Petyr, dicendo che la donna era diventata folle di gelosia nei suoi confronti, e si è suicidata gettandosi dalla Porta della Luna. Scagionato, Ditocorto suggerisce che Robin riceva il giusto addestramento per combattere e cavalcare, e venga mandato in visita presso i Lord della valle. Sansa, con un vestito austero e i capelli tinti di scuro, sembra accogliere di buon grado il suo nuovo ruolo di “compagna” di Petyr, mentre Arya e il Mastino giungono alle porte di Nido dell’Aquila solo per scoprire che Lysa è morta tre giorni prima: per tutta risposta, Arya scoppia in una fragorosa risata.

Tyrion Lannister: ad Approdo del Re, Tyrion attende l’ora del suo processo per combattimento, e ricorda con Jaime la triste sorte di un loro cugino, Orson, che la balia fece cadere dalla culla quand’era piccolo, causandogli un danno cerebrale permanente. Il ragazzo passava tutto il giorno a schiacciare insetti con una pietra, e Tyrion racconta di averlo osservato per molto tempo, senza mai capire per quale ragione quell’attività lo rendesse così felice. Poi, le campane annunciano che il momento del processo è ormai giunto: Oberyn Martell è molto sicuro di sé, e dichiara apertamente che, prima di uccidere Gregor Clegane alias la Montagna che Cavalca, vorrà udire la sua confessione per aver stuprato e ucciso sua sorella Elia, e per aver massacrato anche i suoi figli. Oberyn dà prova di grande destrezza con la sua lancia e riesce a trafiggere la Montagna, lasciandolo riverso a terra. Ha la vittoria in pugno, ma prima vuole sentire la sua confessione, e questo eccesso di sicurezza gli sarà fatale: Gregor riesce a farlo cadere, poi lo afferra e, mentre confessa ciò che Oberyn voleva sentire, gli sfonda il cranio a mani nude. Tywin, soddisfatto, dichiara concluso il duello: Tyrion verrà giustiziato per aver ucciso il re.

Coerentemente con i codici narrativi della serie, The Mountain and the Viper costruisce il gran finale per gradi, relegando il main event della serata al termine dello show, proprio come accade negli incontri di wrestling o in altre manifestazioni spettacolari. Una costruzione accurata, anche all’interno del suo singolo segmento: il duello tra Oberyn e la Montagna è infatti preceduto dall’ottima sequenza dialogica che coinvolge Tyrion e Jaime, emblematica per delineare ulteriormente la personalità del fratello minore. «Ridere delle disgrazie altrui era l’unica cosa che mi faceva sentire uguale agli altri» rivela Tyrion a proposito del cugino Orson, nei cui confronti non ha mai provato un sentimento di empatia o di solidarietà fra reietti, bensì una curiosità “entomologica”, da scienziato che studia e cerca di comprendere il comportamento di una creatura che giudica “inferiore”. Al contempo, però, la sua pietà verso gli insetti – non solo quelli sterminati sistematicamente dal cugino, ma anche quello che raccoglie lui stesso nella cella – dimostra l’ampiezza del suo animo misericordioso e pacifico, e anche la sua fondamentale simpatia nei confronti delle vittime, a ogni livello (seppur dimenticando che Orson stesso è una vittima). Quando poi giunge il duello tanto atteso – che occupa gli ultimi cinque minuti dell’episodio – la tensione subisce una crescita improvvisa: grazia e forza bruta si affrontano sul campo, con la sorte di Tyrion in palio, e la grazia ne uscirebbe anche vincitrice se solo non peccasse di eccessiva confidenza. Gli spettatori hanno imparato ad apprezzare Oberyn per la sua ironia velenosa, per il suo fascino esotico (ma Pedro Pascal, che parla un ottimo inglese, si è inventato questo accento straniero per l’occasione) e per la legittimità dei suoi propositi vendicativi, ostentati ripetutamente nel corso del duello, ma la brutalità della sua morte non lascia spazio ad alcuna catarsi. Fra l’altro, il suo desiderio di ottenere una confessione viene soddisfatto, solo che nel frattempo la Montagna gli sta sfondando il cranio a mani nude, in una scena che tocca un nuovo vertice di disgusto (e di sadismo, considerando l’identità della vittima) nella storia della serie; senza dimenticare l’ottimo contributo tecnico degli effetti speciali, orribilmente credibili. Insomma, è la sindrome di Apollo Creed: gli puoi ballare intorno quanto vuoi, puoi dare spettacolo per la gioia del pubblico, ma alla fine il tizio grosso ti travolge come una locomotiva. Il duello in sé appare forse un po’ troppo breve rispetto alle aspettative iniziali (e la coreografia, per quanto piacevolissima, non è certo epocale), ma il suo epilogo si pianta nella memoria con la stessa intensita del massacro delle Nozze di Sangue, lasciandoci con il dubbio sul destino di Tyrion.

Il resto dell’episodio (ovvero, la maggior parte dell’episodio) non è un semplice contorno, anzi. Se le vicende presso la Barriera faticano a procedere, e restano bloccate sui soliti discorsi, l’allontanamento di Jorah da Meereen è un colpo basso per tutti i fan del suo amore silenzioso, soprattutto perché, ormai, la sua fedeltà nei confronti di Daenerys era fuori discussione: è riuscito a smarcarsi dalla famigerata friendzone, ma non nel modo in cui sperava. Parallelamente, Theon è sempre più un burattino nelle mani di Ramsay, che per le sue bieche macchinazioni viene premiato con il cognome dei Bolton, divenuti i nuovi Protettori del Nord. Il nucleo principale dell’interesse, però, è concentrato nelle azioni di Sansa: la ragazza si emancipa dal consueto ruolo di vittima imbelle, e diventa padrona del suo destino, salvando Petyr e affiancandolo nei suoi piani. L’inquadratura che la ritrae in cima alla scalinata, con il sole alle spalle, un abito austero (da “adulta”), i capelli tinti e un sorriso compiaciuto sul volto, dimostra come Game of Thrones sappia affidarsi anche alle immagini, e non solo alle parole, per trasmettere un concetto; proprio come accade con la risata beffarda di Arya, espressione di scherno verso le utopie su cui il Mastino aveva costruito le sue speranze di guadagno.

La citazione: «La stazza non conta, quando sei disteso a terra.»

Ho apprezzato: l’attrazione fra Missandei e Verme Grigio; l’inquadratura finale di Sansa; il dialogo fra Tyrion e Jaime; la tensione e l’epilogo del duello.

Non ho apprezzato: le vicende nei pressi della Barriera, un po’ impantanate; la brevità del duello.

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