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The Captive, la recensione dal Festival di Cannes

Pubblicato il 17 maggio 2014 di Andrea D'Addio

Una bambina rapita nel mezzo del freddo Ontario durante una breve sosta in una un’area di servizio. La disperazione del padre, quella della madre, le indagini di una coppia di poliziotti che prima di tutto sospetta i genitori, ma non solo. Ecco anche l’altro lato della storia: la bambina sequestrata e l’ambiguo rapporto con i suoi rapitori. Il tutto raccontato in maniera corale e saltando dal passato (sei e otto ani fa) al presente, senza seguire un ordine cronologico. Si fronteggiano buoni e cattivi, il thrilling non risiede nel chi ha fatto cosa e perché, ma nel come e quando i due fronti si fronteggeranno.

La scomparsa di bambini e le perversioni degli adulti sono due tematiche con cui Atom Egoyan ci ha abituato a fare i conti. Il dolce domani (1997), Il viaggio di Felicia (1999) e il recente Devil’s Knot sono i casi in tal senso più emblematici della sua filmografia ora arricchita da una pellicola che, ancor più delle altre, unisce entrambi i filoni. Più che in passato il cineasta canadese riesce stavolta a trovare il giusto equilibrio tra dramma e thrilling, commuovendo, ma lasciando comunque che la suspense salga gradualmente nel corso delle due ore di proiezione. Tanti elementi narrativi sanno di déjà-vu (a partire dalla cricca di pedofili collegati come Grande Fratello) e ad analizzare dettagliatamente il racconto emergono alcune illogicità nei comportanti dei personaggi e qualche forzatura (come il faccia a faccia nella tavola calda), ma sono dettagli all’interno di un racconto sostanzialmente fluido e godibile.

Il cast si comporta più che egregiamente. Ryan Reynolds ha finalmente modo di tornare ad interpretare un ruolo drammatico di spessore, Rosario Dawson è una credibile detective e Scott Speedman riesce a ritagliarsi il ruolo di un ispettore atipico, bravo, ma non bravissimo e comunque antipatico. Tra tutti però ad emergere è la faccia da schiaffi di Kevin Durant, vera colonna portante della pellicola fin dall’inquietante prologo in cui lo si osserva di spalle mentre accanto a lui, su di un televisore, viene trasmessa una rappresentazione teatrale di Il flauto magico di Mozart (elemento che ritornerà più avanti sancendo una sorta di circolarità della storia).

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