C’è un momento in Grace di Monaco in cui l’allora principessa parla pubblicamente ai più importanti politici mondiali dell’epoca cercando di convincerli che il principato è lo stato dell’amore e che proprio per questo non dovrebbe rischiare di essere attaccato dalla vicina Francia che vuole almeno una parte delle sue entrate fiscali. Troppi francesi si sono trasferiti a Monaco per ragioni fiscali, De Gaulle ha bisogno di finanziare la guerra d’Algeria e non tollera più l’assenza di contributi da parte di un territorio che è comunque protettorato transalpino.
Ebbene, è proprio durante questo discorso dell’allora principessa che si raggiunge il baratro narrativo di un film che, al contrario, sembra puntare molto su questo momento di storia vera per nobilitare quanto raccontato in precedenza, ovvero una serie di intrighi di palazzo di bassa lega di cui giustamente pochi potrebbero avere interesse. E così, anche quella che è tutt’altro che un’orazione memorabile viene mostrata e montata come se ci si dovesse commuovere e alzare in piedi ringraziando Monaco e tutti i suoi abitanti per l’esempio di pace e benessere che dimostrano al resto del mondo giorno dopo giorno. Impossibile, neanche per i più ben predisposti.
Insomma, Grace di Monaco è un film che si dimenticherà presto. Non amato dalla stessa famiglia reale che ne ha preso le distanze già qualche settimana fa, e di certo non supportato dal produttore Harvey Weinstein che mancherà alla premiere di Cannes ufficialmente perché in Siria a visitare due campi profughi, anche da un punto di vista qualitativo c’è poco da salvare. Il dilemma cinema/non cinema che affligge all’inizio della storia una Grace Kelly ormai da qualche anno sposata, ma ancora non certa di voler abbandonare per sempre le scene (soprattutto perché Alfred Hitchcock è pronto ad offrirle il ruolo di protagonista in Marnie) si perde ben presto all’interno di una storia più ampia e politica che vede il principe Ranieri alle prese con il rischio di vedere scomparire il proprio piccolo regno per una serie di discutibili scelte strategiche. Il compromesso narrativo (storia di Monaco/storia di Grace) non trova il giusto equilibrio diventato noioso da entrambi i lati. Non aiuta in tal senso la scelta del cast, a partire da quella Nicole Kidman che rimane un’attrice eccezionale, ma senza neanche un centilitro di quel fascino da “ghiaccio bollente” che era proprio della Kelly. Altrettanto imbolsito sembra Tim Roth, capace di mantenere la stessa espressione per tutti e 100 i minuti di pellicola. La regia di Olivier Dahan, dopo l’interessante primo piano sequenza in cui Grace ci viene mostrata solo di spalle e allo specchio, riuscendo quindi ad avvicinarci solo gradualmente al volto della Kidman (che per quanto somigliante, non sarà mai l’originale) rimane ancorato ad uno stile piuttosto statico e convenzionale, degno di un feuilleton adatto anche al piccolo schermo. Chissà se davvero un altro regista o un altro sceneggiatore (qui è Arash Amel al suo secondo film dopo Erased) avrebbero saputo fare di meglio o forse se, semplicemente, la vita di Grace di Monaco non è così interessante da farci un film. Per ora il risultato sono stati i fischi della stampa alla proiezione inaugurale del festival di Cannes
Grace di Monaco uscirà domani nei cinema italiani, tra l’altro ultimo giorno per approfittare della Festa del Cinema (biglietti a 3 euro in tutte le sale…)
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