Ci sono film rovinati dal finale ed altri che invece si salvano proprio grazie a degli “ultimi minuti” più che mai azzeccati. Questo è il caso di Due giorni, una notte, ultimo lavoro dei fratelli Dardenne presentato al Festival di Cannes 2014. La storia è quella di una dipendente di un’azienda che viene licenziata dopo essere stata a casa per circa quattro mesi perché depressa. A decidere la sua sorte sono stati i suoi stessi colleghi. “O lei o il bonus da mille euro” gli ha detto il loro direttore. E loro hanno deciso per i soldi. Per il lunedì successivo è prevista però la ripetizione del voto. Sandra (interpretata da una Marion Cotillard tornata finalmente ad ottimi livelli) ha i “due giorni e una notte” del titolo per incontrarli personalmente e cercare di fargli cambiare idea.
Raccontare la società attraverso piccole, ma emblematiche storie personali è da sempre una caratteristica del cinema dei Dardenne. Questa volta al centro delle loro preoccupazioni c’è la crisi economica che a macchia d’olio sta colpendo tutto il mondo occidentale. Il bisogno di soldi e lavoro come condiziona i comportamenti? Che priorità hanno i valori di lealtà e solidarietà sia personale che del prossimo quando di mezzo c’è il rischio di diventare poveri? Per buona parte della sua durata Due giorni, una notte appare un film abbastanza schematico, ogni incontro della protagonista può essere considerato come un piccolo film a parte. L’insieme crea un ritratto corale abbastanza arbitrario di quelli che dovrebbero esser i personaggi tipo della società contemporanea. Potrebbe essere un limite che pesa come un macigno sul “verismo” della storia raccontata, ma i Dardenne sono abilissimi a schivare l’autogoal inanellando verso la conclusione una serie di sequenze e scelte narrative che spostano il centro del discorso sulla dignità dell’essere umano. Fare del bene o battersi per ciò che è giusto continua ad essere il modo migliore, se non l’unico, per riuscire a guardare con ottimismo al futuro. E così si esce quasi commossi, si rivaluta positivamente tutto ciò che di imperfetto si era visto prima e si pensa a quanto lo stesso atteggiamento debba essere tenuto anche fuori dalla sala, non dagli attori, ma da noi stessi. Quello dei Dardenne è un cinema che trascende lo schermo per diventare in qualche modo ispirazione. Lo fanno con una semplicità che sembra disarmante, la semplicità dei più grandi.
[La recensione era stata scritta in occasione della presentazione del film all’ultimo Festival di Cannes ]