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Cannes 2014 – Mommy di Xavier Dolan ipoteca il palmares, ecco la recensione

Pubblicato il 23 maggio 2014 di laura.c

Ormai è presente in una tale quantità di festival che dovremmo esserci abituati, ma pensare che ad appena 25 anni il canadese Xavier Dolan abbia già al proprio attivo 5 lungometraggi, tutti passati, premiati e apprezzati nelle principali kermesse cinematografiche mondiali, fa ancora un certo effetto. A Venezia aveva convinto gran parte della critica con Tom à la ferme, ma il suo ultimo lavoro, Mommy, ha seriamente incantato il 67º Festival di Cannes, catapultando sia l’opera che il suo realizzatore e i suoi interpreti nella lista dei probabili premiati.

Cos’è che rende il film così speciale? Fondamentalmente la sua capacità di raccontare con uno stile apparentemente scanzonato e pop tutte le sfumature, anche più complesse, di una tragedia familiare. Tragedia che però non si rivela subito come tale ma si sviluppa lentamente, spiazzando a più intervalli le aspettative dello spettatore e lasciandolo così con molte meno difese emotive davanti a un epilogo dalle tinte abbastanza forti.

La storia è quella di una madre vedova costretta a riprendere con sé il figlio adolescente, affidato ai servizi sociali per alcuni disturbi nel comportamento piuttosto difficili da gestire nella vita quotidiana. Steve, questo il nome del ragazzo, ha però tante qualità per così dire “dormienti”, che cominceranno a risvegliarsi grazie all’aiuto imprevisto della loro vicina di casa, donna riservata e resa ancora più timida dalla balbuzie, ma capace di tirare fuori il carattere al momento giusto e nei modi giusti. Per quanto chiassoso e strampalato, in questo trio assemblato dal caso cominciano a nascere finalmente equilibrio e speranza, minacciati solo dalle nubi che ciascuno di loro porta nascoste in fondo all’animo.

Le dinamiche descritte, insomma, ricordano quelle di molti altri film basati sul disagio mentale e/o giovanile di uno dei personaggi, e il bello è che anche il registro scelto da Dolan per raccontarle è volutamente popolare. La fotografia calda e piena di luce, a detta del regista, doveva opporsi al grigiore intrinseco del dramma: in pratica, tuttavia, ricorda i tanti film-tv pomeridiani con temi paragonabili. Anche la colonna sonora utilizza sfacciatamente il top delle canzoni più canticchiate degli anni ’90 e 2000, come le hit di Dido e Oasis, con momenti volutamente molto trash. Così come molto veraci sono i personaggi e il loro slang, un canadese scurrile da far correre i brividi lungo la schiena a chi è abituato a sentire solo il francese dei film francesi.

Bene, su tutto questo materiale “grezzo”, o comunque di uso estremamente comune, Dolan compie un lavoro d’autore sopraffino, che va in diverse direzioni. La prima, sottolineare ogni bruttura, anche morale, dei personaggi, in modo che la loro bellezza emerga dall’imperfezione dell’essere umani. La seconda, accarezzare sempre i volti e i corpi con la macchina da presa, con uno sguardo che è sempre e comunque un abbraccio, anche nei momenti più duri: si mostra così come le scelte apparentemente più atroci possano nascere da esigenze, pulsioni e pensieri assolutamente comuni e condivisibili, evitando dunque patetismi e moralismi di sorta. La terza, la più radicale, consiste nel cambiare in corsa le dimensioni della proiezione (!), che comincia in formato quadrato 1:1, per poi riaprisi in corrispondenza dell’evoluzione in positivo dei personaggi, con tanto di protagonista che allarga lo schermo con le mani rompendo per un attimo la finzione cinematografica a beneficio del gioco tra regia e spettatore.

Il bello di Mommy è proprio questo: nonostante la drammaticità del soggetto e di alcuni suoi passaggi, non perde mai la voglia di giocare con il pubblico, di cercare la sua complicità senza nascondere il tentativo di farlo. Senza scordarsi, nel frattempo, di ritrarre delle meravigliose figure umane, che si incontrano per via del dolore ma si uniscono per la speranza.

Un’opera davvero memorabile, che vanta anche delle ottime interpretazioni e che probabilmente non rimarrà indifferente alla giuria di Cannes 2014.

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