Sorrentino è un regista coraggioso, spericolato per certi versi. La Grande Bellezza è un film difficile, densissimo, debordante di parole e affollato personaggi; un film che non si è certo preoccupato di assecondare i gusti del presunto pubblico italiano e che, eppure, al pubblico italiano è piaciuto. Come sempre per le pellicole del regista napoletano, tutto nasce intorno a un unico personaggio a cui poi si costruisce addosso una sceneggiatura che è spesso imperfetta e dalle maglie larghe; eppure, al di à degli innegabili difetti, il film risulta alla fine sottilmente spietato e visivamente bellissimo nel raccontare la ‘dolce vita’ della Roma di oggi così vuota, così volgare. Così decadente, ma ancora così bella da togliere il fiato. Anche perché, come più o meno già diceva Ennio Flaiano, vivere a Roma è un modo di perdere dolcemente la vita.
L’immagine di questo nostro paese di nani e ballerine è sì percorsa da uno sguardo tagliente, ma mai accusatorio e moralistico. Sorrentino non giudica dall’alto al basso. Come sempre, lui ama i suoi protagonisti e se deve scoccare frecce avvelenate a soubrette con un romanzo proustiano nel cassetto o a intellettuali radica-chic orgogliosamente senza tv in casa o ancora a perfomer che si spaccano la testa contro il muro, be’, lo fa perché sono questi stessi personaggi a prendersi troppo sul serio. In questo paese splendido eppure allo sfascio, dove non si può che vagare ammirando il passato e ricercare il tempo perduto perché il futuro è un buco nero, non ci si può prendere troppo sul serio. Come racconta nei bellissimi dialoghi il protagonista Jep Gambardella (Toni Servillo): «siamo tutti sull’orlo della disperazione: non possiamo far altro che farci compagnia, pigliarci un po’ in giro».
E allora festeggiamo per questo Oscar, brindiamo, ma non costruiamoci sopra monumenti e non parliamo di eroi, Jep non lo farebbe. Godiamoci la vittoria ma senza prendersi troppo sul serio: l’Oscar è un premio, anche importante, ma come tutti i premi nasce anche da compromessi e negoziazioni dietro le quinte.
Detto ciò, c’è da essere felici per il trionfo de La Grande Bellezza agli Academy Awards e questo perché Paolo Sorrentino è un regista di talento. Un autore dallo stile visivo potente con le sue carrellate barocche e inquadrature estetizzanti, con i suoi monologhi di estrema letterarietà, coi suoi personaggi sfaccettati e non facilmente incasellabili. Quello di Sorrentino è un cinema che parla del/col reale ma senza essere per forza realista come certa “morale d’autore” invece vorrebbe. Non dimentichiamo poi che Sorrentino è un regista tutto sommato giovane (ha 44 anni, alla fine), che ha condiviso il suo lavoro-passione-sogno con dei produttori altrettanto giovani: Nicola Giuliano e Francesca Cima, i quali hanno iniziato la loro avventura della Indigo Film più di 10 anni fa proprio con il regista napoletano producendone il primo film per poi arrivare, ieri notte, agli Oscar. Che abbia vinto il loro La Grande Bellezza, che sia stata questa pellicola a rappresentare il nostro cinema, c’è solo da esserne fieri. Poi, se volete, si può dare avvio al chiacchiericcio e al blà-blà-blà…
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