True Detective arriva al giro di boa di metà stagione con un episodio dal carattere transitorio, ma non per questo meno affascinante dei precedenti.
Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER
I detective Martin Hart (Woody Harrelson) e Rust Cohle (Matthew McConaughey) interrogano l’ex marito di Dora Lange, Charlie, per ottenere informazioni sul suo ex compagno di cella Reggie Ledoux, sospettato dell’omicidio di Dora: scoprono così che Ledoux, oltre a essere uno psicopatico, un pedofilo e un adoratore del demonio, è anche un esperto cuoco di metanfetamine, e lavora in esclusiva per una banda di motociclisti del Texas. Rust la conosce dai tempi in cui faceva l’infiltrato per la narcotici, e propone a Marty di andare in missione clandestinamente, in forma non ufficiale, per individuare il nascondiglio di Ledoux. Marty accetta, ma nel frattempo deve affrontare la separazione da Maggie (Michelle Monaghan), che ha saputo dei suoi tradimenti direttamente da Lisa (Alexandra Daddario)…
La serie tv più bella di questo inizio 2014, nonché sicuramente una delle migliori dell’anno, giunge a metà stagione con un episodio che accantona momentaneamente le amare riflessioni filosofico-esistenziali di Rust, la cui disillusione nichilista resta però incisa, più che sulle parole, sul volto scavato e sullo sguardo dolente del detective: merito di un Matthew McConaughey che ha ormai imboccato la strada dell’interprete raffinato, visceralmente devoto ai conflitti interiori e ai drammi quotidiani dei suoi personaggi. È proprio grazie a Rust, complice l’ottima scrittura dello sceneggiatore Nic Pizzolatto, se True Detective riesce a frantumare le consuete dinamiche relazionali tra partner di polizia, eliminando ogni complicità e solidarietà cameratesca per sostituirle con una profonda opposizione caratteriale, generata da due visioni del mondo contrastanti.
Who Goes There ci offre però un delizioso paradosso: se inizialmente le vite di Marty e Rust non potevano essere più diverse (integrato e padre di famiglia il primo, emarginato e nichilista il secondo), ora invece convergono, ed entrambi si ritrovano nella stessa condizione di precarietà e solitudine, sintetizzata – non senza ironia – dalle scene di virile convivenza nello squallido appartamento di Rust. Si avverte, in tal senso, una netta separazione tra sfera maschile e femminile, evidente nelle accuse che Lisa e Maggie rivolgono al fedifrago Marty, la cui classica reazione da marito pentito suona alquanto patetica, ed è immune da ogni possibile empatia; interessante, però, è anche il dialogo fra Rust e la stessa Maggie, che gli rimprovera di rifugiarsi nella razionalizzazione «come tutti gli altri» (uomini), accusandolo esplicitamente – ma senza averne le prove – di essere stato un cattivo marito. Certo, è impossibile aspettarsi un qualche tipo di pietas da un individuo del genere, almeno in questioni “frivole” come queste: non a caso, di fronte all’autocommiserazione del suo partner, Rust dichiara apertamente che non sono affari suoi, chiudendo la porta alla solidarietà maschile tra colleghi.
L’episodio ci regala anche la scena più memorabile fra quelle viste finora, almeno sul piano spettacolare: nell’epilogo, il regista Cary Joji Fukunaga confeziona un impressionante piano sequenza di sei minuti, vera e propria sfida tecnica di stampo coreografico e organizzativo (potete vederlo qui sotto). Un simile virtuosismo, che rompe con le consuetudini televisive per affermare le radici cinematografiche della serie, rientra nelle logiche di un prodotto che non ha mai trascurato la qualità visiva della messa in scena, capace di valorizzare persino le miserie del white trash con una regia e una fotografia accuratissime. Se non l’avete mai vista, fatevi un favore: recuperatela.
La citazione: «Sei il Michael Jordan dei figli di puttana.»
Ho apprezzato: il rapporto anti-empatico fra Rust e Marty; il piano sequenza di sei minuti.
Non ho apprezzato: scherziamo?
Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi di True Detective sul nostro Episode39 a questo LINK.