The Act of Killing, la recensione del documentario in profumo di Oscar

The Act of Killing, la recensione del documentario in profumo di Oscar

Di Redazione SW

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“Uccidere è proibito, quindi tutti gli assassini vengono puniti, a meno che non uccidano su larga scala e al suono delle trombe” Voltaire (Frase che compare all’inizio del film)

Il regista Joshua Oppenheimer e la sua troupe nel corso di otto anni hanno incontrato e vissuto fianco a fianco con gli assassini che dal 1965 e per circa un anno, in Indonesia dopo il colpo di stato che destituisce il governo socialista, comincia un massacro ed una caccia all’uomo a qualsiasi persona si opponga al regime dei militari; questa incredibile violenza si scarica specialmente verso i comunisti, la minoranza etnica cinese ed i letterati. Alla fine i morti saranno più di un milione, per una tragedia obliata dai governi occidentali che in alcuni casi (America, Inghilterra e Australia) anzi supportano economicamente il governo militare indonesiano in quanto anti-comunista, un genocidio che ancora oggi viene considerato “giusto e parte della storia” dal governo indonesiano che basa la sua forza proprio sulla continuità con quegli avvenimenti.
I capi di questi gruppi militari, segnatamente Anwar Congo, attorno al quale si svolge tutto il documentario, si rivelano davanti alla videocamera di Oppenheimer orgogliosi dei massacri perpetrati quasi 50 anni fa, non rinnegando niente ed anzi ricostruendo di fronte alla telecamera e per la gloria dello spettacolo di autocelebrazione alcune di queste esecuzioni. Si spingono anzi ancora più in là, stimolati dal regista e resisi conto della posizione da “star” che già occupano in certi strati della società indonesiana, decidendo di realizzare un film su questa loro pulizia etnica e politica e sulle loro sanguinarie gesta. Questo film nel film le cui immagini aprono il documentario candidato agli Oscar The Act of Killing è a sua volta tanto surreale, kitsch ed incredibilmente delirante quanto tutto ciò che circonda i massacri del 1965 e la gloria assassina in cui ancora oggi questi aguzzini si bagnano col il beneplácito di molti politici, paramilitari e persone comuni che li idolatrano. “Troppa democrazia porta al caos” sentenzia infatti il capo del Pancasila Youth, uno dei gruppi paramilitari che perpetrò i massacri e che ancora oggi conta 3 milioni di seguaci, mentre sta giocando a golf e dopo essersi gloriato dei comunisti ammazzati.

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Il film è tutto pieno di momenti surreali e apparentemente fuori da qualunque logica, nel senso che spesso non ci si capacita di quello che si vede, in una delle scene centrali del film, Anwar Congo dopo aver spiegato come strangolava i ribelli col fil di ferro per non spargere troppo sangue, improvvisa dei passi di cha cha cha, in un altro momento quando ritorna nello stesso posto nell’ultima scena del film, una delle più potenti, preso da sgomento (non sappiamo quanto vero o solo per la videocamera e qui giace la grandezza del film) comincia a vomitare, quasi che il corpo si ribelli e prenda coscienza degli atti perpetrati. Oppure quando lo stesso Congo con un suo ex compagno di massacri pescando su un laghetto discorre della giustezza dei loro atti e subito dopo il film si sposta sullo stesso assassino che amabilmente gioca con suo nipote e delle piccole anatre. O ancora quando i due sotto trucco per partecipare ad una scena di tortura, nella quale impersoneranno i torturati, dichiarano che “uccidere è il peggior crimine, l’unica salvezza è non sentire la colpa”.

The Act of Killing è pieno di questi momenti di assurdo dolore, che sembrano voler mascherare una colpa, che è anche quella che segretamente attanaglia la nazione, uno dei più drammaticamente spettacolari è quando vengono ricostruiti gli eventi dell’attacco ad un villaggio e del fuoco che lo brucia e lo divora. Donne violentate e bambini uccisi impersonanti da mogli e figli dei membri del gruppo paramilitare che alla fine della ricostruzione filmica, quando fra le fiamme si sente il “cut, cut, cut” svengono e rimangono davvero traumatizzati da questa terribile esperienza. Proprio in questa occasione “sembra” far breccia nel petto degli assassini che hanno visto e ripreso queste immagini, il dubbio e la consapevolezza dei loro atti demoniaci, qualcosa sembra incrinarsi, specialmente in Congo, ma il confine fra recita e finzione è sempre presente e come spattatore si resta sempre con questo enorme dubbio.

Il documentario è, come si diceva sopra, anche una riflessione su come le premesse ideologiche del 1965 non sono cambiate affatto in questo mezzo secolo, le alte cariche del governo indonesiano e gruppi paramilitari molto potenti ancorano idolatrano i massacri di 50 anni prima e li usano per raccogliere consenso, anche attraverso la corruzione ed il giogo della paura verso le popolazioni più deboli. Saggio storico quindi, con analisi di come il governo si sia mosso unilateralmente con film di propaganda per far odiare comunisti e cinesi, analisi sociale con l’esplorazione delle differenze fra governanti e governati e la corruzione che permette a questa situazione di perpetrarsi. Ma anche riflessione sull’atto del filmare e sul senso dello spettacolo che permea e forma gli individui è The Act of Killing con Congo che spesso si paragona durante tutto il documentario ad un grande attore, un gangster come quelli dei film, il nome di Al Pacino ricorre molte volte durante le quasi tre ore del documentario. Questo senso di teatralità è anche presente quando vediamo Congo ed i suoi rivedere le scene che loro stessi hanno girato o quelle del documentario stesso, per esempio quella in cui si ricostruisce lo strangolamento di un ribelle, commentando e chiedendosi se fosse venuto bene in video, uno stesso piano di autocelebrazione e spettacolarizzazione della propria esistenza e personalità che funziona anche come giustificazione che troviamo anche nella cura e nella scelta nei vestiti e in quella dei propri denti.

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Un apparente segno di cedimento psicologico di Congo come si diceva avviene specialmente dopo la ricostruzione delle violenze nel villaggio, sono gli incubi che, a suo dire, lo perseguitano, gli spiriti di tutte le persone che ha ucciso, specialmente a suo dire, quella di una vittima che dopo che ha decapitato ha continuato a guardarlo negli occhi. Ed il film nel film per esorcizzarli ricrea questi incubi come kaiju giaponesi da quattro soldi ma assai spettrali, così come un tentativo di pacificare questi morti avviene nelle immagini sognanti e surrealmente gelide quanto gli spiriti degli assassinati appaiono danzanti fuori da un enorme pesce o sotto una cascata per ringraziare coloro che li hanno uccisi permettendo loro di andare in paradiso.

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Come si sarà capito da queste poche righe e dal trailer, The Act of Killing è molte cose assieme, soprattutto nella sua versione più lunga di 166 minuti (il director’s cut) ed alla fine, dopo tutto quello che è passato sullo schermo, il documentario ci colpisce come un viaggio allucinante nell’abisso senza fondo dell’umano e nella sua voglia drogata di spettacolo, che serve a mascherare quella costruzione fittizia dell’identità che ognuno si inventa o cerca di fare. Per fortuna il film non è un reportage giornalistico, non scade mai in questo genere che troppo spesso inficia le opere documentarie contemporanee, che dovrebbero essere qualcosa di diverso, ma è un opera problematica, presenta dei nodi irrisolti e colpisce lo spettatore non fornendo facili spiegazioni, un film che fa pensare quindi e che stimola anche perché c’è una cura nella composizione dei frame, nell’uso dei colori e soprattutto nel montaggio che fa di questo lavoro, prima di tutto un ottimo film dal punto di vista cinematografico.

Se all’inizio potrebbe sembrare un film su un tempo ed un luogo lontani, l’Indonesia del 1965, alla fine si esce dalla visione completamente destabilizzati e rivoltati come un guanto nelle certezze sull’essere umano e sul significato della storia che si credeva di avere. Un’opera che parla al cuore del nostro essere nella contemporaneità, un pugno, un sogno violento, stupido, sordido e sanguinolento che mette in luce tutta l’assurdità e la follia dell’umanità e delle sue deliranti azioni e motivazioni che danno forma agli eventi storici.

Uscito anche nelle sale italiane lo scorso ottobre, The Act of Killing è tra i 5 film candidati agli Oscar come Miglior documentario: per scoprire gli altri titoli, leggi quest’articolo.

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