Inquadrature “di servizio” senza alcun brio, che servono solo a far parlare e muovere i personaggi, voice over e accompagnamenti musicali da serie tv di basso profilo: basterebbe questo a descrivere il calo che caratterizza Sotto una buona stella rispetto ad altri film di Carlo Verdone. Certo, i tempi malincomici sono lontani ormai già da un po’, ma più il regista e interprete si sforza di uscire dal particolare per andare a descrivere presunti disagi sociali, più il risultato sembra scivolare verso una visione banale e, quel che è peggio, verso una comicità senza idee e senza verve. Questo film, nello specifico, vorrebbe rappresentare con leggerezza la situazione di giovani e adulti del ceto medio-alto cui l’attuale situazione economica toglie certezze e stabilità. Peccato che il risultato sia lo sfruttamento non troppo brillante di luoghi assai comuni della commedia, neppure solo di quella nostrana.
Come capita sempre più spesso nei film del Bel Paese, tutto comincia con una visita della Guardia di Finanza, che lascia il distinto professionista Federico Picchioni (lo stessoVerdone) senza lavoro e quasi sul lastrico. Nonostante lui non sia coinvolto negli illeciti dell’azienda, la sua vita è forzata verso una svolta radicale, anche a causa dell’improvvisa scomparsa dell’ex-moglie: in cerca di nuovo impiego e costretto a occuparsi dei due figli che non ha mai cresciuto, dovrà rinunciare tutto d’un colpo alla sua giovane fiamma mozzafiato e ai comfort della sua agiata quotidianità. Per fortuna ad aiutarlo nel percorso troverà la stramba vicina di casa (Paola Cortellesi), donna dal cuore d’oro ma afflitta da un lavoro cinico e ingrato nonché da una terribile solitudine.
Ora, non c’è di sicuro bisogno di una crisi di proporzioni epocali per vedere al cinema il ribaltamento dei ruoli ricco-povero: è uno schema che ha sempre funzionato, soprattutto in ambito comico, dove ci sono innumerevoli esempi di film basati sull’improvvisa indigenza di personaggi scostanti e viziati, che attraverso le nuove traversie imparano a stare al mondo e a sciogliere alcuni nodi irrisolti nella loro esistenza dorata. Sotto una buona stella non si scosta di un millimetro dal canovaccio, né riesce a reinterpretarlo in maniera attuale e originale. Anzi, la sua presa sulla realtà è talmente debole che anche le scene di vita casalinga e familiare, che dovrebbero rappresentare “le difficoltà” affrontate dal protagonista, risultano di un’insipidità insolita per il cinema di Verdone.
Le tensioni che dovrebbero muovere la storia non sono solo scontate, ma sono anche trattate con estrema superficialità, tanto che quando si arriva a toccare (rigorosamente di striscio) il livello sociale, il tono è così edulcorato da poter risultare irritante. Insomma un’opera dalla comicità spuntata, paternalista e buonista, senza alcuna concretezza e con gag giocate sul campo più becero di tutti, quello degli ammiccamenti sessuali, delle imprecazioni scurrili, delle faccine buffe e della cadenza dialettale. Un evidente passo indietro nella filmografia del regista, cui non è capace di mettere una pezza nemmeno la presenza di Paola Cortellesi.