A suo modo, The Spoils of Babylon è una miniserie evento: innanzitutto perché è rarissimo, praticamente un caso unico, che una miniserie sia anche uno show comico. Ma soprattutto perché il prodotto trasmesso in questi giorni da IFC raccoglie un cast strepitoso che mette insieme il meglio della commedia USA, come Will Ferrell, Kristen Wiig e i creatori Matt Piedmont e Andrew Steele assieme a grandi attori come Tim Robbins, Tobey Maguire, Jessica Alba e molti altri. Il risultato è una parodia della tv anni ’70 e ’80, dei grandi best-seller che hanno fatto la storia della tv, messi alla berlina in una riflessione meta linguistica.
Raccontato da Eric Jonrosh (Ferrell), autore di un best-seller diventato poi miniserie tv (da lui, diretta, scritta, prodotta, recitata ecc.), la storia è quella della famiglia Morehouse, del suo impero del petrolio nato con il patriarca Jonas e proseguito con il figlio adottivo Devon, che poi si sposerà con la sorellastra Cynthia non prima di essere partito in guerra. E mille altri intrecci sentimentali, colpi di scena, drammi familiari, fino al momento – da cui tutto parte – in cui qualcuno spara a Devon (sulla scia del celebre Chi ha sparato a JR? che risale fino al Dallas anni ’80). Un drammone, polpettone nudo e crudo preso in giro da una squadra di attori e sceneggiatori usciti dal Saturday Night Live.
Non c’è dubbio che gli elementi messi in campo siano di prima scelta, dall’impianto produttivo, allo humour surreale e bizzarro, dalla ricostruzione d’epoca – non del periodo, ma della televisione del periodo – all’analisi del linguaggio televisivo di questi 30/40 anni, fino alle performance degli attori, tutti notevoli e divertenti. Il dubbio di fondo però sull’auto-referenzialità e inutilità di The Spoils of Babylon resta enorme: perché realizzare 6 puntate su qualcosa che regge l’arco di una gag o di un episodio? Visto che l’humour si concentra solo sulla forma della miniserie, non avendo interesse in storia e personaggi, perché trascinarla per più episodi?
Qualcuno potrebbe azzardare il paragone con Boris, per come viene fatta a pezzi la serialità italiana di un certo tipo: ma la serie italiana, oltre a dare molta importanza ai personaggi e alle loro vicende, cosa che qui non avviene anche perché non c’è un doppio piano narrativo, raccontava il mondo della tv contemporaneo, dando anche un valore più forte alla presa in giro della fiction nostrana. Che senso ha prendere in giro e ricreare modelli di televisione e linguaggio televisivo sorpassato che non esistono più? A chi dovrebbe interessare? I momenti che strappano il sorriso non mancano, per colpa degli attori, ma a chi giova un prodotto del genere? A nessuno, stando anche ai rating e agli ascolti.
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