Chiusasi da poco su Italia 1 (e con le repliche in corso su Mediaset Extra), la 1^ stagione di Hannibal si è rivelata una delle sorprese della stagione tv 2013/2014, capace di trasportare atmosfere morbose e malate e raffinatezza visiva e narrativi in ambiti che negli ultimi tempi sembravano esclusivo appannaggio delle reti via cavo e che invece NBC ha dimostrato poter essere anche proprie di un network in chiaro o generalista.
Dopo uno straordinario pilot, la serie si è concentrata sulla deriva psicotica dell’agente Will Graham e sulla manipolazione messa in atto da Lecter ai danni di quest’ultimo; nell’ultimo episodio, Saporito, Jack (il superiore di Will, interpretato da Laurence Fishburne) arresta Will per l’omicidio di Abigail, perché le prove contro di lui sono schiaccianti. Infatti l’orecchio mozzato della ragazza viene ritrovato nel lavandino della sua cucina, e il sangue di Abigail sotto le unghie dell’agente. Quando Will, durante il trasferimento in carcere, riesce a fuggire, decide di rivolgersi ad Hannibal per chiedere aiuto, riuscendo così a capire chi è il vero assassino.
Scritto da Steve Lightfoot, Bryan Fuller e Scott Nimerfro e diretto da David Slade, come il pilot, il finale di stagione approda a ribaltare le figure di Lecter e Graham in un crescendo di suspense che ha come obiettivo quello di ripulire la serie da un po’ di confusione che l’aveva afflitta nella seconda metà di stagione e che, se coerente con lo stato mentale del protagonista, non ha aiutato lo spettatore – soprattutto italiano, perso nella sciocca programmazione Mediaset – ad affezionarsi a una serie che invece ha bisogno di pazienza, attenzione e interesse per poter spiegare del tutto le sue potenzialità. Caratteristiche emerse anche nel finale, in cui la caccia mentale tra i personaggi, tutti alla ricerca di comprendere e possedere cosa c’è nella mente altrui, diventa anche caccia fisica, dando vita a un crescendo sempre più cupo, guardando con ironico distacco all’abisso dei protagonisti e arrivando a un finale beffardo in cui Graham e Lecter si trovano di fronte, il dottore fuori dalle sbarre, l’agente rinchiuso in un manicomio criminale, in posizioni opposte rispetto alla serie lettararia (di cui a tutti gli effetti, Hannibal è un prequel).
Oltre alla raffinatezza visiva, alla sofisticatezza narrativa, allo straordinario talento degli attori – un fenomenale Mads Mikkelsen e un Hugh Dancy in costante crescita -, l’asso nella manica della serie è la costruzione psicologica dei caratteri, sempre più ambigua e complessa di ciò che sembra, trasformando un thriller seriale in un girotondo di manipolazioni e confessioni (fondamentale il ruolo di Gillian Anderson come psicoanalista di Lecter) che si arricchisce di puntata in puntata arricchendo la serie. Che nella 2^ stagione avrà ben più di una responsabilità verso gli spettatori, ma anche un tavolo di gioco ricco di prospettive e carte da giocare.
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