Istintivamente, ogni volta che si parla di remake, si tende ad avere una reazione esagerata, si tende a puntare il dito prima ancora di aver visto il risultato. La cosa capita solitamente a chi è più grande, a chi è cresciuto con determinate pellicole, imparando ad amarle, e al solo pensiero di ciò che potrebbe succedere reagisce inorridito. Se si parla di cult horror la cosa è anche peggio, vista la deriva che ha colpito il genere da un po’ di tempo a questa parte.
Eppure, se guardiamo attentamente, anche tra i nostri film preferiti ci sono dei remake. Si pensi ad esempio a Scarface, La Cosa o La Mosca, grandi titoli ispirati ad altri cult movie del passato. Si potrebbe dire che la riuscita di queste opere sia direttamente proporzionale alla bravura dei registi che le hanno dirette, cosa decisamente vera, ma non è detto che anche tra le cosiddette nuove leve non si possa trovare una nuova promessa del cinema (di genere). In verità ciò che ha contribuito a rendere queste pellicole speciali è quella che si potrebbe definire con un gioco di parole “la vicina lontananza”: il fatto di aver mantenuto il tema portante ma di aver ampliato la storia, rendendola diversa e arricchendola di ulteriori metafore. Un remake dovrebbe fare questo del resto, anche perché se ci si limita a copiare un titolo già famoso e girato in maniera impeccabile si parte già svantaggiati.
Gran parte dei remake arrivati nelle sale cinematografiche negli ultimi anni si sono limitati a copiare l’originale, aggiornandolo ai nostri tempi e immergendo il tutto in un’atmosfera da teen movie patinato, e Lo Sguardo di Satana – Carrie non è da meno. Ci troviamo, infatti, di fronte ad un vero e proprio rifacimento della pellicola diretta nel 1976 da Brian De Palma. Stesse battute, stessi momenti chiave, stesso sviluppo. Certo, entrambi i film hanno un romanzo a cui prestar fede, quindi la storia non poteva essere stravolta. Ma ci sono così tante cose presenti in quelle pagine che non sono state sfruttate, al di là della rappresentazione della protagonista, molto distante da quella di entrambe le trasposizioni.
Aggiornata la trama ai nostri tempi, attraverso l’uso di telefonini, YouTube e il web in generale, quello che rimane è, appunto, la rivisitazione patinata di una storia dalle incredibili potenzialità, caricata di spiegazioni che intervengono più volte durante la narrazione, semplificando il tutto. Una cosa che sembra andare in contrasto con le numerose sfumature presenti nel film di De Palma, soprattutto nei momenti chiave come le prime mestruazioni della giovane Carrie, il ballo di fine anno e l’atroce fine che tocca alla folle Margaret White (rappresentata nella pellicola originale come un turbine di dolore e piacere e per questo ancora più insopportabile da vedere).
Per quanto riguarda i membri del cast, il loro impegno è evidente, a cominciare dalle protagoniste Chloë Grace Moretz e Julianne Moore, che interpretano rispettivamente i ruoli un tempo toccati a Sissy Spacek e Piper Laurie. Sembra quasi che la regista Kimberly Peirce abbia deciso di affidarsi alla bravura delle sue interpreti, facendo emergere loro a discapito dell’atmosfera. Il risultato è un film che in fin dei conti non si può definire brutto, ma che manca di personalità in più punti.