[In occasione dell’uscita del film nelle sale italiane il 19 dicembre, ripubblichiamo la recensione scritta durante il Festival di Venezia]
Una storia strappalacrime di quelle semplici-semplici in cui i buoni devono essere davvero buoni, i cattivi davvero cattivi e il finale sfacciatamente felice o terribilmente triste. Naturalmente, per essere ancor più lacrimevole, la storia in questione deve essere tratta da episodi veri. Costretto a dimettersi dalla rigorosa BBC, il cinico giornalista Martin Sixsmith (Steve Coogan) si ritrova a lavorare per una sorta di tabloid e scrivere un articolo di “vita vissuta” su un’anziana signora irlandese (la grande Judi Dench) che vuole ritrovare il figlio dato in adozione 50 prima, quando, ragazza-madre, era stata mandata in un convento di perfide suore. Quelle della razza di Magdalene, per intenderci.
Un materiale narrativo del genere, così intrinsecamente melodrammatico e indigesto per quanto zuccheroso, potrà mai dar vita a un film dignitoso? La risposta è sì. Philomena – la pellicola diretta da Stephen Frears e tratta da questa storia vera – è un ottimo esempio di come un soggetto altamente (e pericolosamente) commovente venga raccontato con stile e soprattutto con un british humor irresistibile. Le battute sulla Ryanair compagnia aerea sanguisuga che riesce a farti pagare anche l’aria che respiri, o sui romanzetti rosa stile Harmony dai titoli improbabili tipo “Scarpetta e ferro di cavallo” o sui gay che suonano l’arpa perché, va be’, sono gay, sono – almeno in versione originale, non sappiamo nel doppiaggio – da manuale.
Philomena è un film scritto benissimo, un film che si basa sulle fondamenta sicure di una sceneggiatura costruita con precisione chirurgica nel soppesare una sana commozione e un sarcasmo tagliente. Un’opera che colpisce dritto al cuore ma che puntuale stempera il dramma con battute ciniche e dialoghi briosi. Gran parte della forza ironica deriva dal rapporto forzato tra i due protagonisti: l’adorabile vecchietta irlandese sempliciotta e fiduciosa in Dio e nella vita, nonostante le angherie subite, e al suo fianco lo sprezzante giornalista inglese che non crede più in nulla, figuriamoci nel Padre eterno… Come insegnano le fortunate commedie di cui Quasi amici è solo uno degli ultimi esempi, la migliore ironia scaturisce proprio dall’incontro degli opposti, dal cultural crash, dal mettersi faccia a faccia col diverso, e questo non perché i protagonisti siano persone “aperte” e curiose ma perché il corso degli eventi li ha costretti in tale situazione. In Philomena la coppia forzata di opposti funziona alla perfezione anche perché i poli antitetici sono rappresentati da Judi Dench e Steve Coogan. Entrambi sorprendenti; per lei la nomination all’Oscar è data per scontata.
Certo Philomena non è film rivoluzionario, non è un capolavoro. È un’opera semplice, una dramedy classica, che scorre via briosa tra lacrime e risate e che piacerà al grande pubblico. Un film che però regala una lezione importante: anche la storia più popolare, melensa e che si nutre di facili sentimenti, può essere plasmata in grande cinema. Grazie Stephen Frears per avercelo ricordato. I lunghi applausi alla fine della proiezione stampa al Festival di Venezia erano stati anche per questo.