Quentin Tarantino l’ha definito “Il film che avrei voluto fare”.
Il compianto Roger Ebert ha detto che si tratta di “Un film potentissimo, non per quello che rappresenta, ma per il modo in cui mette a nudo la profondità dei sentimenti del cuore umano”.
E ora via con la sigla:
Nel 2004 OldBoy vince il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2004. Giuria presieduta da Quentin Tarantino, che ha promosso il film con un affetto e una dedizione tale che, incredibilmente, l’anno dopo è arrivato anche nelle nostre sale, diventando nel giro di pochissimo tempo un film di culto e facendoci conoscere uno dei principali autori del cinema coreano: Park Chan-wook, un uomo che si è ritrovato a fare film quasi per caso, dopo un periodo passato a lavorare come critico cinematografico (a chi dice che i critici cinematografici sono solo dei registi falliti: beccatevi questa!).
Perché ci ritroviamo a parlarne oggi? Prima di tutto perché si tratta di un vero e proprio capolavoro, ed è cosa buona e giusta ricordarlo ogni volta che si presenta l’occasione; in secondo luogo perché ieri ha fatto il suo ingresso nelle sale italiane un altro OldBoy, quello diretto da Spike Lee e, allo stesso modo del film coreano, ispirato al manga omonimo di Nobuaki Minegishi e Garon Tsuchiya. Non siamo qui per criticare a priori un film, anche perché chi scrive non ha ancora visto questa nuova versione e scagliarsi contro una pellicola senza le giuste motivazioni è (quasi) sempre sbagliato.
Siamo qui piuttosto per dedicare un po’ di tempo ad un titolo e ad un regista che in qualche modo hanno segnato la storia dei cosiddetti “revenge movie”, proponendoci una storia che di vendette ne ha addirittura due, una inglobata nell’altra (meglio non svelare di più per non rovinare la visione).
Siamo qui per parlare di un regista che la vendetta l’ha scandagliata a fondo durante la sua carriera, proponendoci una trilogia (in)volontaria che comprende altri due grandissimi film come Mr. Vendetta e Lady Vendetta.
Nello specifico OldBoy rappresenta l’apice di questo trittico, proprio perché affronta il tema della vendetta subordinandolo all’amore, che alla fine è il fulcro di questa storia. Un sentimento impossibile, in grado solo di ferire tutti quelli che ne rimangono coinvolti, senza distinzione tra buoni e cattivi.
Titoli di coda: