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Torino 2013 – A proposito di Big Bad Wolves e The Station #Torino2013SW

Pubblicato il 26 novembre 2013 di Filippo Magnifico

Big Bad Wolves (sezione After Hours)

Presentato nella sezione After Hours (quella più cara a tutti gli appassionati del cinema di genere) del Torino Film Festival 2013, Big Bad Wolves ha già un primato che gli permettere di mettersi in mostra tra tutti gli altri titoli presenti qui a Torino: si tratta infatti del primo film horror della storia del cinema israeliano. Un esordio niente male, se si tiene conto anche del fatto che si tratta del primo lungometraggio diretto dalla coppia di registi Aharon Keshales e Navot Papushado. Una storia che fonde più generi (si va dal torture porn alla commedia grottesca, che in più di un caso coincidono) e che presenta lo stesso spirito delle pellicole dirette da Quentin Tarantino e i Fratelli Coen (presenti al Festival con la loro ultima pellicola, Inside Llewyn Davis). Un uomo alla ricerca disperata della verità e un altro deciso a vendicare la giovane figlia, barbaramente stuprata e uccisa, uniscono le forze per ottenere una confessione dal principale sospettato, in una progredire di supsense e momenti profondamente divertenti. Il finale, particolarmente disperato ma in linea con la storia, riesce a fare il suo effetto: nonostante l’atmosfera sia quasi sempre rilassata, Big Bad Wolves è una profonda riflessione sulla società in cui viviamo (in particolare quella israeliana) e come tale può fare della speranza un semplice optional.

The Station (sezione After Hours)

Praticamente la fiera del nonsense, ma non quello che ci piacerebbe vedere all’interno di una pellicola di genere. L’ispirazione principale, anche se non dichiarata, è La Cosa di John Carpenter, da cui attinge a piene mani quasi senza preoccuparsi di cadere nel plagio più spudorato. Bisogna dire, però, che la pellicola diretta da Marvin Kren (sostenuta dalla BLS Film Fund & Commission dell’Alto Adige con un finanziamento alla produzione di 240.000,00 €) riesce in più di un momento a toccare il tasto della nostalgia, proponendo situazioni ed effetti speciali, tipici del cinema horror di un tempo. Quello che manca è la coerenza narrativa, la consapevolezza di cosa sia giusto inserire in una storia. Motivo per cui The Station sbaglia i momenti più importanti, risultando ridicolo quando dovrebbe creare picchi di tensione e di pathos. A conferma di tutto questo le ricorrenti risate (di scherno) da parte del pubblico presente in sala.

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