Cinema Festival

Roma 2013, il concorso racconta le dittature dalla Romania alla Cina

Pubblicato il 13 novembre 2013 di emanuele.r

Se oltre alla corazzata americana di alto livello il concorso del Festival di Roma è abbastanza anonimo, non si può dire che manchino gli spunti di riflessione. Il concorso ha presentato due interessanti film che raccontano in modi opposti il ruolo delle dittature all’interno delle società: Quod erat demostrandum del rumeno Andrei Gruzsniczki e Blue Sky Bones del cinese Jian Cui.
Il primo racconta del peso del servizio segreto rumeno durante gli anni ’80, con un dottorando in matematica e una donna compromessi dal fatto che i loro cari sono fuggiti per l’estero senza tornare: spie e collaborazionisti in un dramma che racconta l’altra faccia delle Vite degli altri, mettendo l’accento sul meccanismo che porta esseri comuni a diventare delatori con una fotografia in bianco e nero e una fotografia accorta. Temi fortissimi e dolorosi che il regista però trasforma in vero racconto filmico solo negli ultimi 20 minuti, sprecando attraverso la poca costruzione (di eventi e personaggi, ma anche della messa in scena) la possibilità di realizzare un capolavoro.

Il secondo è l’esordio nel lungometraggio del padre del rock cinese, artista che con le sue canzoni e il suo atteggiamento ha aiutato a cambiare i costumi dei giovani e del governo nei confronti della musica definita imperialista: e qui torna su questi temi, raccontando la storia di una canzone e di chi la compose dagli anni ’70 post-rivoluzione culturale a i tempi odierni, in cui la libertà si espande sempre di più e le repressioni diventano più striscianti. Un canto alla libertà creativa ed espressiva costruito come uno zibaldone, in cui ricordi, canzoni e squarci di stile compongono un film come un brano musicale. Confuso forse, e in bilico sul patetico, ma anche uno dei film più inventivi del festival.

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