Il nome di Isabel Coixet prometteva bene, dopo alcuni bei film come La vita segreta delle parole. Ma il suo nuovo lavoro, Another Me – in concorso al Festival del Film di Roma -, è il peggior film del festival, pastiche che diventa pasticcio e che fallisce su ogni fronte.
Protagonista è una ragazza (la Sophie Turner di Game of Thrones) la cui vita è segnata dalla malattia del padre che complica le vicende familiari. Finché un giorno, una ragazza uguale a lei comincia a seguirla, a farsi vedere, a imporre la sua presenza. Chi è? La risposta nella sceneggiatura della stessa Coixet arriva dopo circa mezz’ora, per cui niente effetto sorpresa, eppure innesca una reazione a catena che porta un film già discutibile a diventare molto brutto.
Contaminando i resti dell’horror giapponese con il dramma familiare medio-borghese di Susanne Bier, Another Me racconta il disagio giovanile e la sociopatia (schizofrenia?) di una ragazza attraverso una storia di fantasmi che torna sulle ossessioni dell’autrice, fatte di bambini mai nati o morti troppi presto (come da tradizione nel genere, per altro). Ma se gli sviluppi della vicenda affondano spesso in dialoghi e snodi improponibili, è tutto l’impianto del film a orripilare, fin dall’inizio, dalle prime immagini, da quello stile volgare fatto di palloncini che volano metaforici, nebbie in controluce e vetri spezzati, ralenti e ricercatezze visive che provano a imbellettare una sceneggiatura di disarmante grevità nella scelta dei temi, dei toni, delle parole.
Una sorta di manifesto emo che mescola trama da romanzetto rosa e atmosfere da disco dark di terza mano in cui soccombe Sophie Turner, del tutto inadatta quando non deve sfoderare gli occhioni, vittima sacrificale del fantasma e di un film gretto e banale, ma soprattutto sciocco.
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