Se c’è un regista per cui ogni film è una “partita a scacchi” con lo spettatore, un gioco di intelligenze, una sfida di interpretazioni, una ricerca-svelamento di significati, questo è Stanley Kubrick. Uno dei pochissimi autori venerato indistintamente da pubblico e critica (sebbene oggi Cronenberg si sia scagliato contro Shining, ma tant’è…) per Kubrick ogni pellicola deve essere costruita come uno spettacolare enigma. 2001: Odissea nello spazio rientra ovviamente in questa prospettiva: kolossal fantascientifico edificato come un saggio di filosofia, è un’opera in grado di affascinare ed emozionare lo spettatore e al contempo stimolarlo con quesiti e inviti alla decifrazione di simboli. Ad esempio: cosa rappresenta il fatidico monolito che per ben 4 volte, muto e maestoso, compare nella storia?
Ovviamente, trattandosi di interpretazioni, una risposta definitiva non esiste ma proviamo a scardinare il mistero. Kubrick è un “poeta dell’invisibile”: un autore che realizza film di guerra senza mostrare il nemico, e film di fantascienza senza mostrare gli alieni. L’aspetto più affascinante e rivoluzionario delle pellicole belliche del regista americano naturalizzato inglese, da Fear and Desire a Orizzonti di gloria, è che non visualizzano quasi mai scontri frontali, battaglie corpo a corpo con l’avversario. Il nemico è così nominato, insultato, evocato quanto invisibile (Full Metal Jacket è l’estremizzazione di quest’idea); paradossalmente, quelli di Kubrick sono “film di guerra senza la guerra”. E così, nella stessa prospettiva, 2001: Odissea nello spazio è un film di fantascienza senza fantascienza dove quelle presenze di vita extraterrestre sono tanto ricercate quanto invisibili, ma percepibili nella forma nel monolito. Il monolito è la materializzazione-simbolo della natura aliena ed è stato lo stesso Kubrick in una delle sue rarissime interviste (J. Gelmis, The film Director as Superstar, Doubleday, New York, 1970) a confermare questa ipotesi: «si discuteva sui mezzi per tradurre fotograficamente una creatura extraterrestre in modo che fosse sconvolgente come lo sarebbe stata realmente. Presto fu chiaro che non si può immaginare l’inimmaginabile. Il massimo che si può fare è cercare di rappresentarlo in qualche modo artistico che comunichi qualcuna delle sue qualità. Così decidemmo per il monolito nero».
Ma il monolito può rappresentare anche molto altro. In tanti vi hanno visto la presenza di Dio, il suo “primo mattone” dell’universo oppure la “porta delle stelle” (una sorta di Stargate) attraverso cui viaggiare nel tempo e raggiungere l’ “altro mondo” che si vede nel finale. O ancora l’oscurità della non-conoscenza, le domande sull’esistenza, sulla vita e sulla morte, che non possono trovare risposta ma che ciclicamente si ripropongono all’uomo.
Un aspetto è indiscutibile su questa pellicola ispirata a The Sentinel di Arthur C. Clarke (il quale collaborò alla sceneggiatura e scrisse parallelamente un romanzo dallo stesso titolo 2001: Odissea nello spazio): il monolito è l’unico vero protagonista della non-storia del film. È l’unico a comparire nelle 4 parti di cui è composto il racconto con lo scopo di sottolinearne i passaggi più oscuri. Emblematica è in questo senso è la parte iniziale dove la presenza ingombrante, pura, così concreta-astratta di quest’enorme parallelepipedo nero innesca (o è testimone?) del salto evolutivo dalla scimmia all’uomo. Salto che avviene facendo scoprire all’animale l’utilizzo di un osso come arma. La nascita dell’intelligenza coincide con la violenza. Il progresso è ineluttabilmente collegato alla morte, e il computer dotato di intelligenza artificiale Hal 9000 che arriverà a uccidere ne è solo uno degli esempi.
In questo film di oltre 2 ore in cui si contano neanche 40 minuti di dialogo, in questo film che è puro shock visivo (e sonoro), il monolito può anche essere visto come lo schermo nero su cui proiettare le nostre storie, le nostre vite esattamente come accade con il cinema, la tv, ma anche gli smartphone. In questo senso è interessante e affascinante l’interpretazione data da Marcello Walter Bruno nel libro Kubrick (ed. Greemese): «il film di Kubrick sembra essere un viaggio nella storia del cinema che comincia con il muto (la parte preistorica-africana), prosegue con il musical (le astronavi che danzano i valzer di Strauss), arriva al parlato (la parte dialogata che ha per protagonista lo scienziato Floyd), “fantascientificizza” vari generi (il duello David/Hal non è forse il brano biblico della sfida Davide/Golia?) e si conclude con un brano lisergico di puro cinema underground». 2001 è un viaggio, anzi un’odissea nel cinema e il monolito ne è il simbolo, lo schermo nero di cui il cinema non può fare a meno.
Ma le interpretazioni sono inesauribili: per voi cosa rappresenta il monolito?