La Gabbia Dorata, da Cannes al Festival di Ferrara: l’incontro con Diego Quemada-Diez

La Gabbia Dorata, da Cannes al Festival di Ferrara: l’incontro con Diego Quemada-Diez

Di Leotruman

La gabbia dorata Diego Quemada-Diez foto dal set 1

Articolo a cura di Luca Veronesi.

Stile documentaristico, un taglio visivo alla Ken Loach ma senza sottolineature politiche e la storia di un viaggio. Quello di quattro personaggi alla ricerca di una vita migliore. Il tema di questa opera prima del regista Diego Quemada-Diez, è quello dell’immigrazione e del postcolonialismo.

Premiato al Festival di Cannes (A Certain Talent Prize e Premio Gillo Pontecorvo) e come miglior film al Giffoni Film Festival, La Gabbia Dorata è stato presentato al 7° Festival Internazionale di Ferrara e ha emozionato e sorpreso il pubblico.

Quattro personaggi magistralmente caratterizzati. Juan, Chauk, Sara e Samuel. Ognuno a modo suo affronta un percorso che lo porterà ad evolvere, a scontrarsi con i propri limiti e le proprie debolezze. Samuel, il più fragile del gruppo e forse il personaggio più marginale, si scontrerà presto con una realtà per lui troppo dura. Sara, è l’unica donna. Dolce, ma forte e determinata. Chauk, il poeta, è un indio del Chiapas che non sa esprimersi in spagnolo. Ma ciò che prova e ciò che vive, traspare. Sempre. Come se parlasse una lingua sconosciuta ma al contempo chiara e trasparente come acqua di sorgente. E per ultimo Juan, il protagonista (n.d.r. se proprio dobbiamo sceglierne uno), con le sue contraddizioni e le sue incertezze. Un personaggio in continua evoluzione. Grazie al quale il regista affronta ed approfondisce il tema razziale. Chauk, dapprima scomodo compagno di viaggio di Juan, diviene per quest’ultimo quasi un fratello.

La gabbia dorata regista Diego Quemada-Diez foto dal Festival de l'Internazionale a Ferrara 1

Qual è il suo background cinematografico?

Grandi maestri sono stati Pasolini e la corrente neorealista.

La scelta di non raccontare il perché i quattro personaggi decidano di intraprendere il viaggio è voluta?

In realtà no. Non inizialmente almeno. Juan, è un ladro. O per meglio dire, colui che dice ad altri cosa si deve rubare. Il film, in precedenza, iniziava in un altro modo, con una scena di un assalto finito male. Una scena d’azione piuttosto forte. Ma questo avrebbe dato al film una connotazione sbagliata. Perciò abbiamo deciso di lasciare all’immaginazione dello spettatore, le motivazioni che spingevano il protagonista ed i suoi amici. Per quanto riguarda Chauk, invece, la sua entrata in scena senza spiegazione alcuna, era stata decisa fin dall’inizio, per mantenere un aura di mistero sul personaggio.

Chi ha deciso la scena iniziale, bellissima fra l’altro, e quanto ha inciso sul film il montaggio?

Il montaggio è stato affidato alla bravissima Paloma López. La scena iniziale è un idea sua. Il suo taglio originale, poetico e visionario ha permesso di passare magistralmente, dalle 70 ore di girato, a 4 ore di film. Successivamente, lavorando in sinergia con me, e dopo un lavoro durato tre mesi, il lungometraggio ha raggiunto una versione finita e pronta per le sale, di un ora e quaranta minuti.

Avete scelto il Guatemala come punto di partenza del viaggio. C’è un motivo in particolare?

Inizialmente si pensava di partire dal Nicaragua. Poi l’idea del Guatemala. Anche se da principio, credo di non averne compreso il vero motivo. Mia madre, che ora non c’è più, era profondamente legata a quella terra.

La gabbia dorata Ramón Medína Rodolfo Dominguez dal film - Foto 4

Girare un film in quelle zone è stata un problema? Intendo dal punto di vista della sicurezza.

Non voglio mentirvi. Quelle zone sono pericolose. Abbiamo preso ogni precauzione e cercato di informare ogni possibile fazione e gruppo delle zone attraversate.

Ci può parlare del ruolo di Padre Solalinde?

È un istituzione. Un uomo di Dio, ma non legato alla chiesa di Roma, anche se con l’ultimo Papa le cose potrebbero cambiare, chissà. Un uomo che rischia la vita ogni giorno per quello in cui crede. Odiato dall’America e dal Cartello di Sinaloa. Lui sa bene che un giorno o l’altro gli faranno la pelle. Lo conosco personalmente e nel film doveva esserci. Ho raccontato i suoi inizi. Quando con i camion portava del cibo agli immigranti, e poi dava loro un posto dove poter riposare.

I protagonisti, e anche tutti gli altri immigranti, viaggiano letteralmente sopra i treni. Treni passeggeri non ce ne sono?

Al di là delle motivazioni economiche. Per cui pochi potrebbero permettersi di pagare un biglietto. Da quando la linea ferroviaria è stata privatizzata e quindi adibita quasi totalmente al trasporto merci, viaggiare “sopra” i treni è il modo più economico e pratico per spostarsi attraverso il paese.

In poche parole. Cosa voleva raccontare con questa storia?

Volevo raccontare un viaggio. Una trasformazione. Una morte ed una rinascita. Il protagonista perde ogni cosa, diviene cosciente della realtà solo nel momento in cui ha raggiunto il “suo” paradiso. Quel paradiso che è solo una gabbia da cui non si può più fuggire. Perché non si hanno abbastanza soldi, perché non si hanno documenti validi. Qualunque sia il motivo, il paradiso, se esiste, è forse da ricercare dentro di noi.

Una curiosità, il titolo “La gabbia dorata”, ha forse qualche legame con la celebre canzone popolare?

Certo. È ispirata alla canzone “La jaula de oro”. Una prigione dorata da cui non si può far più ritorno.

La Gabbia Dorata uscirà nelle nostre sale a partire dal 7 novembre distribuito da Parthénos. Qui sotto potete vedere il trailer della pellicola:

Fonte: ScreenWeek

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