Attenzione, contiene spoiler.
Dopo due episodi tutti centrati sulle conseguenze che l’attentato in Virginia ha lasciato sui personaggi, la 3^ puntata della 3^ stagione di Homeland mostra di nuovo il protagonista, Brody, alle prese con un rocambolesco viaggio in fuga. E riapre la serie ai toni più cupi e incisivi che un po’ mancavano all’appello.
Riappare il Sergente Brody che viene recuperato, guarito e salvato da una squadra di narcotrafficanti in Venezuela nei pressi di Caracas, dopo che era stato quasi ucciso dai componenti di una organizzazione colombiana, i quali volevano ottenere la taglia pendente sulla sua testa messa in palio dal governo americano. Brody viene portato da un capo rispettato, che doveva un favore a Carrie, in un grattacielo semi-costruito di Caracas chiamato la “Torre di Davide”, abitato da una miriade di varianti umane e viene preposta alle sue cure e alla sua sorveglianza l’avvenente figlia del capo venezuelano, Esme. Intanto Carrie ancora nell’ospedale psichiatrico viene contattata da un avvocato di un importante studio di New York che si propone di aiutarla a tirarla fuori dall’ospedale, ma lei rifiuta intuendo che dietro vi fossero gli interessi di una lobby interessata a scoprire da una fonte interna informazioni sulla CIA.
Scritto da Henry e William Bromell e diretto da Clark Johnson, La torre di David è un episodio che riporta a casa Homeland, ossia in quel territorio violento e oscuro che ne è il cuore, fuori dalle storyline discusse sulla sanità di Carrie e dentro l’inferno di Brody, da Brody causato.
Il sergente infatti si trova a passare da una prigione all’altra, da una gabbia all’altra, senza potersi salvare, senza una via di fuga: da prigioniero di guerra al governo americano, dai colombiani ai venezuelani che lo custodiscono con troppa foga per non nascondere qualcosa, il dopoguerra di Nicholas si tramuta in un’odissea in cui nemmeno l’islam sa salvarlo, dovendo la sua vita a un branco di feroci criminali. Tutto il tratteggio cupo e doloroso di un personaggio e della sua sopravvivenza, scritto bene e diretto meglio, oscura giustamente la sotto-trama di Carrie, il cui personaggio è in fase di grande revisione da parte degli autori.
La torre di David punta all’essenzialità della prima stagione, in cui erano i personaggi e la loro descrizione ad avvincere e non l’azione o la tensione troppo accelerata e meno credibile del secondo anno: il finale con Brody che si fa d’eroina è un vero colpo al cuore. Se i primi due episodi potevano far discutere, il ritorno di un grande Damian Lewis può rimettere d’accordo molti appassionati.
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