Spesso l’universo western e quello del chambara e del jidaigeki, ossia i film di samurai. Ma se con I sette samurai e la saga di Jojimbo è stato il Giappone a fornire materiale a USA e Italia, in Unforgiven accade il contrario, che il magnifico western di Clint Eastwood Gli spietati diventi pane per un remake nipponico: Unforgiven del coreano Lee Sang-il reinventa il capolavoro vincitore di 4 Oscar in una storia che rimescola gli immaginari.
La storia si svolge all’alba dell’epoca Meiji, nel 1880, ed è ambientata a Ezo (l’odierna Hokkaido), l’isola più settentrionale del Giappone. Jubei Kamata è un reduce dello shogunato Tokugawa. Dopo la caduta dello shogunato ha combattuto in una serie di battaglie e poi di lui si sono perse le tracce in seguito alla brutale guerra di Goryokaku. Sono passati più di dieci anni. La povertà lo spinge a mettere da parte la sua decisione di seppellire la spada. Così l’uomo si ritrova ancora una volta invischiato in una vita di violenza. Con il suo vecchio compagno d’armi, Jubei affronta gli ipocriti che pretendono di rappresentare la giustizia. E ancora una volta, in questa nuova epoca, ha inizio un circolo vizioso di violenza.
Scritto dallo stesso Lee, Unforgiven (Yurusarezaru Mono in giapponese) è un samurai western, quindi sarebbe meglio chiamarlo “eastern” che anziché trasportare un racconto e il suo contesto in un’altra epoca e nazione si diverte a mescolare e confondere le carte per creare un immaginario ibrido.
Ispirandosi ai grandi classici di entrambi i generi, tra cui spicca anche l’ambientazione nevosa de Il grande silenzio di Corbucci, Unforgiven è una classica storia di giustizia e dignità, che come il film di Eastwood prende tutti gli archetipi e le leggende del west e li porta alla morte, sotterrandoli assieme alla figura dell’eroe senza macchia: i temi e la fedeltà alla sceneggiatura di David Webb People sono inattaccabili, cambia però il contesto. Lee ricalca il western americano sostituendo le spade alle pistole, l’etica del samurai a quella dei cowboy, gli indigeni di Hokkaido ai nativi americani, calcando la mano sulla violenza e ringiovanendo i personaggi.
Ne viene fuori così un film meno profondo, più esteticamente modesto e in cui la forza mitica viene necessariamente a mancare; ciò non toglie che Lee sappia il fatto suo, come mostra l’ottimo finale, e che gli attori affrontano senza troppi problemi il confronto con i loro omologhi: il grande Watanabe Ken – il buono – e un eccellente Kunimura Jun – il cattivo. Se ciò che si chiede a un remake è non distruggere o sporcare la bellezza di un originale, Unforgiven ci riesce.
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