A quanto pare il senso della vita, così come l’eterno binomio tra realtà e immaginazione, non smettono di tormentare e alimentare l’estro di Terry Gilliam, che è tornato a esplorare il tema nel surreale e distopico The Zero Theorem, presentato in concorso alla 70. Mostra del Cinema di Venezia. Al centro del film, un universo in cui lo sviluppo tecnologico ha preso il sopravvento su tutto, e dove una grande corportation decide di assoldare un geniale programmatore alquanto dissociato dalla realtà (Christoph Waltz) per lavorare a un misterioso teorema.
A differenza di alcune voci circolate prima del suo passaggio al festival, The Zero Theorem non intende assolutamente essere la prosecuzione né de L’esercito delle dodici scimmie né di Brazil.“Non si tratta di una trilogia, anche se dirlo suona bene, soprattutto per la stampa. Fa sembrare tutto più serio, profondo e intelligente”, ha spiegato con la solita aria divertita e sorniona il regista, giunto oggi al Lido per presentare il film. Gilliam ha dovuto però ammettere come la sua nuova opera abbia più legami con Brazil di quanto non immaginasse lui stesso, soprattutto per la visione di questo futuro dominato dalla tecnologia selvaggia, da poteri invisibili e dalla spersonalizzazione.
Il protagonista di questo film infatti “è un impiegato che si isola da tutto ciò che lo circonda, non fa altro che lavorare senza farsi più domande, così come fanno tutti i dipendenti delle multinazionali”. E nonostante il personaggio sia circondato da dispositivi che ricordano da vicino le console e i comandi dei videogame, non c’è alcun riferimento voluto a quella realtà: “Non avevo come riferimento l’immaginario nerd o geek, anche perché non lo sono. Semplicemente, il mondo ormai è diventato questo, ogni giorno mi siedo davanti al computer e sono costantemente catturato, sedotto, dalla possibilità di avere accesso a tutta la conoscenza possibile. Ma così si perdono di vista gli esseri umani, come stanno, cosa fanno davvero”.
La preoccupazione di Gilliam riguarda soprattutto i giovani che “sono sempre connessi e questo può cominciare a consumare la loro vita senza che se ne accorgano”, in un crescente paradosso: “Oggi abbiamo accesso a tutto ma non siamo mai stati tanto separati. Le comunità si dividono, anche per via della crisi. Non so se quello che sta accadendo al mondo è giusto o sbagliato, quello che è so che può essere pericoloso, nonché entusiasmante allo stesso tempo”. Il regista fa riferimento anche alla Primavera Araba “resa possibile dai giovani che comunicavano tra loro in Rete”, ma si chiede cosa rimanga di quel movimento ora che il Paese è ripiombato nel caos politico. Neanche l’amore, secondo Gilliam, è più affidabile in quest’epoca di rapporti virtuali, come quello in cui finisce il suo protagonista: “È un bel problema! Pensate a questa ragazza che lo seduce in un mondo virtuale e poi lo abbandona in quello reale, è tragico in un certo senso. Lo trovo molto pericoloso, non lo consiglierei a nessuno”!
L’ispirazione per creare l’universo di The Zero Theorem, tuttavia, è arrivata dal passato piuttosto che dal futuro: “Credo sia necessario guardarsi indietro. La nostra tecnologia è avanzatissima, ma mentre avanzava altre cose sono crollate. Ecco perché abbiamo deciso di ambientare la storia in questa specie di cattedrale abbandonata, simbolo di un mondo dove non c’è nessuna fede se non quella nella tecnologia”. La logica è stata applicata però anche ad altri comparti del film, come i costumi: “Non avevamo molti soldi, quindi abbiamo deciso di non fare gli schizzinosi sui tessuti. Li abbiamo trovati in un mercato cinese dove si potevano compare stoffe non a metro ma a peso! Sono ovviamente orribili e Matt Damon ci ha sudato dentro terribilmente, anche se sullo schermo sono perfetti. Questo è quello che avevamo a disposizione, abbiamo fatto tutto con mezzi limitati e questo ha segnato anche la differenza. Non è un film come, che so, Pacific Rim, dove ogni singolo dettaglio è stato disegnato e programmato con precisione: abbiamo fatto un film su un futuro reale”.
Tra i lati positivi del micro budget, Gilliam ha apprezzato anche la location delle riprese, Bucarest, dove dice di aver goduto di grande libertà perché ci sono pochissime regole, ma anche l’impegno del cast, che oltre a Christoph Waltz comprende David Thewlis, Tilda Swinton, Matt Damon, Peter Stormare e Melanie Thierry : “Lavorare con loro è stata una gioia incredibile, ognuno ha portato la sua versione della realtà in quel mondo. E non essendoci molto tempo, abbiamo spesso improvvisato sul momento. Del tipo: gettiamo Melanie in acqua e scopriamo se sa nuotare”.
Non sperate però che l’ex Monty Python via dia la sua versione sul senso della vita, né tantomeno su quello del film: “Voglio che andiate a cena e litighiate sul significato. Voglio lasciarvi con delle domande, non con banali risposte. Certo alla fine il protagonista esce dal film fiero, forte, in controllo del mondo in cui vive, che sia virtuale o meno. Il senso forse è proprio questo: che possiamo riprenderci il controllo della nostra realtà, sia essa surreale, subreale o virtuale. Cavolo, alla fine vi ho dato una risposta”!
In concorso alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, The Zero Theorem uscirà in Italia distribuito da Moviemax. Continuate a seguirci per tutti gli aggiornamenti dal Festival.
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