E’ la mostra degli addii quella numero 70 di Venezia: dopo Miyazaki Hayao, che oggi ha spiegato il perché del suo ritiro, anche il taiwanese Tsai Ming-liang ha dato il suo addio al cinema, anche se è più una ricerca di nuove forme espressive, nuove strade artistiche, che abbandonare l’arte tout court. Fatto sta che il suo ultimo film canonico, Stray Dogs (Jiaoyu) ha suscitato molto scalpore in concorso.
Un uomo e i suoi due figli vagano ai margini della moderna Taipei. Di giorno il padre racimola una misera paga come uomo sandwich per appartamenti di lusso, mentre i due bambini sopravvivono con campioni gratuiti di cibo in giro per i supermercati e i centri commerciali. Ogni sera la famiglia trova riparo in un edificio abbandonato. Nel giorno del suo compleanno una donna si unisce alla famiglia.
Scritto dallo stesso Tsai, Stray Dogs è un cupissimo, quasi apocalittico (come sempre per il regista taiwanese) dramma della povertà che oltre a mettere in scena la disperata lotta per la dignità anche in condizioni estreme, è anche una forte riflessione sul mezzo cinematografico.
Il film è un viaggio estenuato e straziante dentro la miseria di Taiwan, attraversi luoghi in disfacimento e vite allo stesso stato, in cui le frontiere della dignità cercano di non farsi invadere dal bisogno di sopravvivenza cedendo però ai bisogni primari e più assoluti, come la fame (scioccante la lunga ripresa del cavolo crudo). Tsai usa molti dei suoi stilemi, come le case abbandonate, i luoghi diroccati e invasi dall’acqua, il rapporto ossessivo con il cibo (come nel Sapore dell’anguria), ma non diventa mai maniera grazie proprio alla radicalizzazione dello stile, sempre più estremo, ostico, sperimentale, ma sempre più sconvolgente per chi riesce a condividerlo.
Tsai sembra voler lavorare, proprio come ha fatto in alcuni video e corti, sulla durata dell’inquadratura, sul suo rapporto con lo spettatore, ma anche sul montaggio e le relazioni tra immagini, chiedendosi cosa può accadere a un’inquadratura apparentemente statica, in cui però accade molto, a saper e volere guardare con il giusto tempo. Un cinema che può essere odiato, e sarebbe comprensibile, ma a cui non si può negare una fortissima idea di cinema e una potenza figurativa che non lasciano indifferenti, come l’ultima immagine, la contemplazione rassegnata di un dipinto che sostituisce il mare come il cinema sostituisce la realtà. E infatti, viste le reazioni del pubblico (inaspettate) e della critica, si parla già di un premio pesante.
Anche quest’anno ScreenWEEK è al Lido per seguire la 70. Mostra del Cinema di Venezia. Continuate a seguirci per tutti gli aggiornamenti dal Festival.