Il buonismo benpensante che impregna personaggi forzosamente candidi è difficilmente tollerabile perfino in epopee americane alla Forrest Gump. Lo è ancora meno quando ammantato di pretese d’autore e della fastidiosa tendenza a criticare in via generica tempi e società, senza però sporcarsi le mani con un vero e proprio J’accuse o con una denuncia che vada oltre la vacua divagazione. Per questo si fa seriamente fatica ad accettare, per altro in concorso a una manifestazione come la Mostra del Cinema di Venezia, un lavoro come L’intrepido: vezzo di un regista pure molto stimato quale Gianni Amelio, il film vorrebbe trasfigurare in una sorta di atmosfera fiabesca alcune delle brutture della contemporaneità italiana, quale il senso di assoluta precarietà, i sordidi compromessi cui si è a volte sottoposti nel proprio lavoro, lo spaesamento dei giovani e la difficoltà delle generazioni più mature a segnare un percorso esemplare per quelli che verranno dopo.
Il protagonista, Antonio Pane (Antonio Albanese) è infatti un uomo buono (pensate un po’… quasi come il pane…) che impiega la propria esistenza in modo particolare, con un mestiere che non esiste e che è stato partorito per il film dall’immaginazione di Amelio, vale a dire “il rimpiazzo”. Ex-calzolaio disoccupato, Antonio si tiene impegnato sostituendo per un periodo limitato, possono essere poche ore così come qualche giorno, chi per vari motivi è costretto ad assentarsi da lavoro. Ecco così che tutte le mattine il buon Antonio si improvvisa operaio, pony, sarto, autista di tram, inserviente, bibliotecario, pescivendolo e perfino venditore ambulante. Questo perché ovviamente si tratta di una persona dalle infinite risorse e capacità, a cui però piace aspetta re in questo modo che i tempi migliorino e le riportino il lavoro. Né gli interessa essere pagato: al losco figuro che coordina i suoi rimpiazzi, chiede di essere retribuito mica tutti i giorni, ma ogni tanto, quando capita, e nel frattempo si fa finanziare con appena un po’ di vergogna dal figlio ventenne. Le cose cominceranno a farsi più cupe per il povero Antonio quando scoprirà di essere parte di un giro non proprio pulito, che il figlio non è entusiasta della sua carriera da musicista e che una ragazza, sempre intorno ai vent’anni, di cui si è infatuato, oltre agli stenti soffre anche di un non meglio specificato male di vivere.
Se la trama sembra un po’ sconclusionata e assemblata su una serie di assunti anche contraddittori, è proprio per il carattere terribilmente astratto e un po’ pigro dell’operazione, che vuole parlare di una realtà pretendendo di non descriverla né indagarla, e di esprimere un malessere diffuso, magari con l’idea di mostrare una possibile via d’uscita, ma senza mai entrare nel merito delle sue cause profonde. Senza voler tirare in ballo qualcosa ormai considerato demodé come il cinema di impegno civile, sarebbe bastato radicare un pochino tutti questi personaggi, dar loro un legame non meramente “logistico” con i luoghi che abitano e percorrono, una qualche dimensione che li rendesse più complessi, non importa nemmeno se dal punto di vista interiore o da quello della loro rappresentatività. Tutto, ne L’intrepido, rimane invece sospeso a mezz’aria in un mondo che non è né fantastico né realistico, né utopico né distopico, ma solo un ibrido piuttosto insensato in cui Amelio può dispensare senza troppo impegno, appunto, la sua visione di (autoproclamato) savio vegliardo. Visione che per altro cannibalizza anche citazioni del tutto inappropriate di Chaplin e Keaton. Peccato che la semplice genialità di quel cinema non sia replicabile con la complessa banalità di un film come questo, che vorrebbe guardare il mondo a partire dal basso, dal punto di vista dei deboli e degli ultimi, ma riesce solo a esasperare quella distanza, che la maggior parte degli autori italiani non riesce proprio a colmare, rispetto a quella vita e a quell’attualità che pure sembrano desiderare ardentemente di raccontare.
Presentato in concorso alla 70. Mostra del Cinema di Venezia, L’intrepido è dal 5 settembre nelle sale italiane.