#Venezia70, Giovani Ribelli: Daniel Radcliffe ci parla della sua interpretazione di Allen Ginsberg

#Venezia70, Giovani Ribelli: Daniel Radcliffe ci parla della sua interpretazione di Allen Ginsberg

Di laura.c

daniel radcliffe kill your darlings giovani

Allen Ginsberg, William Burroughs, Jack Kerouac e il meno noto Lucien Carr: Giovani Ribelli (titolo originale Kill Your Darlings) è l’opera prima del regista John Krokidas, che ha l’ambizione di raccontare il periodo di formazione di alcune delle penne più brillanti della letteratura americana, quando erano ancora degli studenti irrequieti della Columbia University e non sapevano che i loro nomi sarebbero diventati un punto di riferimento per intere generazioni di artisti e intellettuali. Selezionato a Venezia alle Giornate degli Autori, sezione parallela della 70. Mostra del Cinema, il film  è stato presentato oggi al Lido direttamente dal regista e dall’attesissimo  Daniel Radcliffe, che ha rivestito i panni del personaggio principale della pellicola, il poeta Allen Ginsberg.

Ecco cosa Krokidas  e Radcliffe ci hanno detto del film all’incontro con la stampa, contornato dalle urla dei tanti fan accorsi ad acclamare l’interprete reso noto dal personaggio di Harry Potter:

Daniel, conoscevi l’opera di Ginsberg prima di recitare in Giovanni Ribelli?

D. R.: Sì, ho letto per la prima volta alcuni versi de L’Urlo a 14 anni e poi anche altro. Devo ammettere che conoscevo meglio Burroughs, ma avere la parte è stata una meravigliosa occasione per approfondire le mie nozioni non solo sulla persona, ma anche sulla sua produzione e sulla generazione in cui è cresciuto. È stata un’immersione nella mente di un genio. Ginsberg sapeva bene di esserlo, ma all’epoca raccontata nel film non immaginava ancora la forma che tale genio avrebbe assunto. È stato bello perciò studiare la sua relazione con la madre e la famiglia, il suo background e come tutto questo abbia influenzato la sua poesia.

John, come sei arrivato a scegliere Daniel Radcliffe per il ruolo da protagonista?

J. R.: Allen, nel film, è sostanzialmente un ragazzo che fino a quel momento ha mostrato al mondo solo un lato di se stesso, quello del figlio rispettoso e della persona tranquilla, e che pian piano impara a esprimere tutte le sue complesse sfumature. Vediamo l’esplodere della passione e della ribellione, di tutto quello che lo porterà a dire di essere un poeta e un genio. Mi chiedevo se Daniel fosse in grado di avvicinarsi a questo personaggio, così l’ho incontrato mentre era impegnato col suo spettacolo a Broadway. Come regista esordiente, ho capito che l’incontro con un attore è come un primo appuntamento: il rapporto funziona solo se nei primi cinque  minuti si crea una certa alchimia, e questo è quello che è successo a noi. Ci siamo trovati subito sulla stessa lunghezza d’onda, ci siamo scambiati una serie di pensieri anche molto personali, perché la profondità della materia trattata in questo film richiedeva ci fosse una grande fiducia reciproca. In più  ho scoperto che Daniel si rapporta al mondo con grande umorismo e quindi, in sintesi l’ho scelto per tre motivi: a) era il migliore b) aveva la mia fiducia c) sapevo sarebbe stato divertente lavorarci.

Daniel, ti sei sentito sotto pressione nell’interpretare un personaggio di tale levatura?

D. R.: Non direi, forse lo sarei stato di più se avessi dovuto interpretare Keats, per cui ho una vera adorazione.  Trattandosi di Ginsberg, con cui non ho lo stesso rapporto, sono stato meno teso, ma sentivo comunque la responsabilità di garantire la miglior performance possibile, anche per rispetto alla grande sceneggiatura scritta da John e Austin Bunn.

Come pensi reagiranno i tuoi fan a questo ruolo comunque molto particolare e complesso?

D. R.: Finora  i miei fan mi hanno sempre supportato anche nei progetti un po’ diversi, tra cui Equus, che in un certo senso era una scelta molto più rischiosa rispetto a questo film. Penso che condurre le persone verso lavori interessanti sia una ricompensa non solo per me ma anche per loro. I fan dei film e dei libri di Harry Potter non sono solo fan di quelli, ma dei buoni libri e dei buoni film in generale, ecco perché hanno approvato e seguito anche le mie scelte meno convenzionali.

Non avevate un po’ di timore reverenziale rispetto alle personalità rappresentate nel film?

J.R.: All’inizio sì, trovavo preoccupante l’idea di dover ritrarre queste tre leggende, ma poi abbiamo capito che, in realtà, quello che dovevamo raccontare erano dei giovani artisti e l’ambiente che  ne ha condizionato la formazione. Nel film non abbiamo gli Allen Ginsberg, William Burroughs e Jack Kerouac che conosciamo oggi, ma tre adolescenti tra i 17 e i 20 anni che sono ancora insicuri e non sanno ciò che diventeranno nella vita. Abbiamo deciso di concentrarci su quello che queste persone erano nel ’44, all’epoca in cui è ambientato il film. Come ho detto a Huston, l’attore che nel film interpreta Kerouac e che era un po’ agitato dal ruolo: ‘Tu non sei Kerouac, sei Jack, frequenti la Columbia grazie a una borsa di studio  e non riesci a inserirti e integrarti con tutto quello che ti circonda’.

D. R.: Lo stesso vale per me, quello che ho interpretato non era Allen Ginsberg, il gigante della letteratura che tutti conosciamo, ma un ragazzino del New Jersey di nome Al, che arriva all’università per la prima volta e vede tutti più ricchi e più intelligenti di lui. Si sente un po’ emarginato dal punto di vista sociale, ma trova pian piano la strada per diventare quello che sarà in futuro.

Daniel, qui a Venezia ti ha accolto una folla in delirio, come ti senti a scatenare tutto questo entusiasmo ovunque vai?

D. R.: Non è sempre così, qui siamo a un festival di cinema, è normale che ci sia più seguito. Ad ogni modo è qualcosa con cui mi confronto da quando sono molto piccolo, quindi ho imparato a coglierne solo i lati divertenti e positivi. Soprattutto a non prenderla troppo sul serio, anche se è sempre strano e  lusinghiero.

John, come mai hai deciso di girare il tuo esordio in pellicola, nonostante oggi sia sempre più in uso il digitale?

J. R.: La storia è ambientata nel ‘44 e i film che abbiamo  preso come riferimento sono i noir degli anni ’40, come ‘La fiamma del peccato’, così come lo stile di Jean-Pierre Melville. Però abbiamo usato anche molte tecniche di ripresa moderne, tipo camera spalla e un diverso uso del colore, perché volevamo che il film mostrasse la sua contemporaneità dal punto di vista culturale.

 

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