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#Venezia70, Che strano chiamarsi Federico – Dalla Mostra la recensione dell’omaggio di Ettore Scola a Federico Fellini

Pubblicato il 07 settembre 2013 di emanuele.r

Aveva deciso di non praticare più il cinema, Ettore Scola. Ma ci ha ripensato per omaggiare il suo caro amico e in parte maestro Federico Fellini. Il suo omaggio, dal titolo Che strano chiamarsi Federico (citazione da Garcìa Lorca), è passato fuori concorso alla 70^ Mostra del Cinema di Venezia, tra la commozione del presidente Napolitano. Però è un film che lascia qualche dubbio.
Il film è un ricordo/ritratto di Federico Fellini, raccontato da Ettore Scola in occasione del ventennale della morte del regista. Il loro incontro nei primi anni Cinquanta; le loro frequentazioni comuni; le loro visite “di piacere” sui set dei rispettivi film; i teatri di posa di Cinecittà, il Teatro 5 e altre analogie tra i due registi, che hanno cementato e fatto durare nel tempo la loro amicizia. Dal suo debutto nel 1939 come giovane disegnatore, al suo quinto Oscar nel 1993, anno del suo settantatreesimo e ultimo compleanno, Federico viene ricordato dall’amico Ettore come un grande Pinocchio che, per fortuna, non è mai diventato “un bambino perbene”.

Ricostruito per intero al teatro 5 di Cinecittà, tempio di Fellini, il film è inclassificabile non essendo documentario né opera cinematografica convenzionale, ma ricostruendo in modo volutamente scenico e teatrale gli episodi di vita che hanno legato i due artisti.
Scola prende il materiale d’archivio audio o video e lo monta a integrazione di scenette meta-cinematografiche con cui rievoca la giovinezza prima e dopo la 2^ guerra mondiale, i rapporti con l’arte e la politica, l’amore per la notte e le figure meno convenzionali della società: sincero e tenero quando racconta l’intreccio psicologico tra i due maestri, la loro amicizia, Che strano chiamarsi Federico cede al luogo comune quando dovrebbe ricrearne o trasfigurarne il cinema, quando dovrebbe affrontare il lato artistico di Fellini, ridotto ai suoi fellinismi.

Un film un po’ tronco e un po’ spaesato, che ha alcune belle intuizioni, come l’uso della vera voce del maestro per ricostruire dialoghi immaginari, ma anche una regia e attori ingessati, una carenza di immaginario che riduce la magia della scena a un teatrino e che si libera solo nel dirompente montaggio finale, la giostra felliniana che riassume una carriera enorme e immortale.

Anche quest’anno ScreenWEEK è al Lido per seguire la 70. Mostra del Cinema di Venezia. Continuate a seguirci per tutti gli aggiornamenti dal Festival.