Gary King, tossicodipendente in riabilitazione, vive aggrappato al ricordo di una giornata lontana, quando lui, leader indiscusso del suo paese Newton Haven, e i suoi compagni del liceo hanno intrapreso il miglio d’oro: un percorso lungo dodici pub all’insegna dell’alcol e del divertimento. I ragazzi non hanno mai concluso la loro missione, ciononostante quel momento è rimasto per Gary il più alto della sua vita. Per questo decide di riunire la vecchia squadra e tentare nuovamente l’impresa. Gli anni però sono passati, i suoi vecchi amici sono molto diversi e, soprattutto, è cambiata Newton Haven. In una maniera del tutto inaspettata!
Sono passati quasi 10 anni dall’uscita di Shaun of the Dead (arrivato di noi direttamente in home video con l’assurdo titolo L’alba dei morti dementi). A quell’epoca il regista Edgar Wright e la coppia di attori Simon Pegg & Nick Frost erano poco più che sconosciuti – perlomeno qui da noi – ma sono subito riusciti a ritagliarsi uno spazio tutto loro affermandosi come star mondiali. Shaun of the Dead è stato il primo capitolo di un trittico, conosciuto come “The Three Flavours Cornetto Trilogy” (Trilogia del Cornetto, questo perché in di ogni pellicola viene consumato un particolare gusto di Cornetto Algida), a cui è seguito nel 2007 l’altrettanto riuscito Hot Fuzz.
Opere in grado di prendere i tipici cliché del cinema di genere (horror nel primo caso, poliziesco nel secondo) e di giocarci in maniera intelligente e particolarmente dissacrante. Due cult movie adorati e venerati da un grande numero di fan, che aspettavano con ansia il capitolo conclusivo di questa trilogia: La Fine del Mondo. Riunita ovviamente la stessa squadra, compresi alcuni comprimari comparsi nei precedenti capitoli come Martin Freeman e Paddy Considine, al servizio di una storia che questa volta prende come punto di riferimento il cinema di fantascienza, citando in maniera più o meno evidente titoli come L’Invasione degli Ultracorpi, Essi Vivono, La Fabbrica delle Mogli, Guida Galattica per Autostoppisti e, sul finale il cinema cosiddetto post-apocalittico.
Il risultato è una pellicola che, per forza di cose, si propone come la più ambiziosa della trilogia, sia dal punto di vista narrativo che della messa in scena. La cosa è al tempo stesso un pregio e un difetto, a tal punto che si potrebbe dire che il film risente della sua stessa essenza. Con La Fine del Mondo Edgar Wright non solo ha giocato con le tematiche tipiche del cinema di genere, ma ha anche ribaltato alcuni punti cardine delle sue precedenti pellicole. La cosa si nota prima di tutto nella rappresentazione dei due protagonisti principali, i cui ruoli sono stati invertiti: questa volta tocca a Nick Frost il ruolo dell’assennato (ma un po’ folle allo stesso tempo), mentre Simon Pegg è la scheggia impazzita e irrazionale. La storia, poi, segue un’evoluzione inaspettata nella parte finale, che si discosta dal tipico happy ending dei precedenti capitoli (non si aggiunge altro per evitare spoiler) ma che riesce comunque a giocare con il tema tragico a suo favore.
Decisamente più mature risultano anche le tematiche di fondo, che passano attraverso il profondo percorso interiore (soprattutto per quanto riguarda il protagonista Gary, ma la cosa tocca riguarda l’intero gruppo di amici) e culminano in un’apologia dell’epoca moderna e in una riscoperta delle cose semplici a discapito della cosiddetta era digitale. In quest’ottica la figura del cornetto, leitmotiv di un’intera trilogia, assume un significato quasi simbolico, diventando emblema di un mondo dedito al consumismo di cui difficilmente ci si può liberare.
Risulta più che evidente, quindi, che arrivati alla fine del loro percorso Edgar Wright e il resto del gruppo abbiano deciso di fare le cose in grande, il problema è che il loro intento è riuscito solo in parte. La storia presenta più di un punto debole, le situazioni sono troppo spesso ingarbugliate per essere prese sul serio e l’assenza di veri e propri passaggi logici si fa sentire soprattutto nella parte conclusiva. Con questo non si vuole certo dire che Shaun of the Dead e Hot Fuzz siano caratterizzati da storie all’insegna della logica, ma le loro forzature risultano coerenti con la trama ed è molto più facile sorvolare. Per quanto riguarda l’umorismo, quello ovviamente c’è sempre, ma anche lui è meno incisivo.
Questi ovviamente sono ragionamenti dettati dal paragone forzato, perché, sia chiaro, stiamo pur sempre parlando di un bel film. Ma – colpa delle nostre aspettative o delle loro ambizioni – resta un gradino sotto gli altri due.