E’ vero che il cinema d’autore e indipendente italiano non gode di buona salute, ma è anche vero che spesso si chiude in se stesso parlando delle solite cose nel solito modo. Un esempio potrebe essere Piccola patria, il film di Alessandro Rossetto presentato alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti.
Il film racconta dell’amicizia di due ragazze che organizzano un ricatto ai danni di un pervertito locale e dell’amore di una di loro per un ragazzo albanese, che finisce invischiato nel ricatto sullo sfondo del Veneto più razzista.
Scritto dallo stesso Rossetto, Piccola patria è un dramma ispirato alla tragedia classica, dai greci a Shakespeare, ma nutrito delle tematiche care al cinema italiano contemporaneo, su tutte l’integrazione e il razzismo.
Non solo l’integrazione dei molti stranieri di differenti comunità all’interno del “balcanico” (come l’ha definito il regista) tessuto sociale veneto e il razzismo verso di essi, ma anche il tentativo un po’ disperato un po’ velleitario dei vari personaggi di emanciparsi dalle loro condizioni di vita in risposta alla mancata integrazione (la ribellione della protagonista e della sua amica dalle venature vagamente omosessuali). Rossetto è sincero ed è interessante il suo lavoro sulla messinscena teatrale delle attrici, tutte bravissime a partire dall’esordiente Maria Roveran fino a Lucia Mascino.
Però molto stona nel film: dai temi e dai risvolti, chiusi nel solito impegno programmatico e governativo di molto cinema italiano d’autore, fino al linguaggio, bloccato sul nascere dalla mancanza di mezzi e forse d’ispirazione, fermo alla macchina a mano e alla semi-improvvisazione, senza vere invenzioni, colpi vincenti. Come se anche lo stile del cinema meno allineato non potesse che sentirsi costrette all’interno di quelle piccole gabbie che paiono più gabbie del pensiero.
Anche quest’anno ScreenWEEK è al Lido per seguire la 70. Mostra del Cinema di Venezia. Continuate a seguirci per tutti gli aggiornamenti dal Festival.